«Se non ci fosse, lo si sarebbe dovuto inventare»: è in questi termini che in Francia si riferivano a Gino Bartali all’epoca dei suoi vittoriosi Tour del ’38 e del ’48. Gino Bartali, detto “l’uomo di ferro”, nasce a Ponte a Ema, vicino a Firenze il 18 luglio del 1914. Quasi tutta la sua carriera vive del confronto con Fausto Coppi, che Bartali vede nascere proprio come suo gregario, nella Legnano. Gli farà da spalla, aiutandolo a vincere il Giro del 1940, dopo che Gino era stato messo fuori gioco da una caduta.
Dopo la guerra, passato Coppi alla Bianchi, la rivalità tra i due diventerà fenomeno di costume e per quasi un decennio l’Italia si riconoscerà nell’uno o nell’altro, spesso in entrambi, quali simboli di un Paese che torna a vivere: basti pensare che all’epoca del suo dualismo con Fausto Coppi, impossibile però dimenticare Fiorenzo Magni, il cosiddetto “Terzo Uomo” dell’italico pedale (e ci limitiamo solo a questi tre), quello delle due ruote era lo sport più popolare e raccontato sui giornali, tanto che il calcio, oggi sua maestà incontrastata, veniva solo dopo le prime dieci-undici pagine dedicate allo sport della bicicletta, almeno sulla Gazzetta e sul Corriere dello Sport. Un antagonismo che raggiungerà il punto più basso ai mondiali di Valkenburg del 1948, quando entrambi rinunceranno quasi a pedalare pur di controllarsi a vicenda, provocando la reazione della Federazione Velocipedistica Italiana che li squalificò, ma che però smorzò la sua intensità toccando anche livelli di commovente lealtà sportiva allorquando si trattava di difendere i colori nazionali al Tour (all’epoca il Giro di Francia era corso dalle squadre nazionali).
Al Tour di quello stesso 1948 Bartali aveva compiuto un’impresa che sconfina nella storia: in ritardo di 21 minuti dal francese Louison Bobet, vinse tre tappe di seguito sulle Alpi – dopo le prime tre già vinte nella fase iniziale e prima di quella di Liegi, con la quale portò il totale a sette – e si aggiudicò il suo secondo Giro di Francia. Sono i giorni dell’attentato a Palmiro Togliatti: spesso si dice che le vittorie di Bartali abbiano evitato una guerra civile, distraendo l’opinione pubblica. Forse questa prospettiva della storia è alquanto esagerata e romanzata, ma certo un po’ hanno contribuito, con buona pace di storici e politici che lo negano recisamente rifiutando con sdegno l’ipotesi di un’insurrezione popolare evitata da una semplice Maglia Gialla. Fatto sta che il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi telefonò a Bartali durante il Tour per chiedergli il massimo impegno, e papa Pio XII, a Tour vinto, lo ricevette con tutti gli onori a Castel Gandolfo, esaltando in lui il “campione della fede” (Gino era già soprannominato “il pio”).
Scalatore puro, anzi per dirla con i francesi Bartali era un “grimpeur”, un arrampicatore, un atleta che con i suoi continui scatti in salita è in grado di sfiancare gli avversari che imprudentemente cercano di seguirlo: diciamo che Bartali era assimilabile al lussemburghese Charly Gaul, o, per restare al passato recente, a Marco Pantani, e non a campioni come Coppi, Eddy Merckx o Bernard Hinault che sgretolavano ogni resistenza in salita col proprio ritmo potentissimo, difficile da sostenere per chiunque, e che pur fortissimi sono più correttamente definibili passisti-scalatori. Bartali dovrà soprattutto alla sua capacità di scattare in salita, alla sua resistenza alla fatica, non a caso era detto “l’uomo di ferro”, e alle sue doti agonistiche, un albo d’oro che parla da solo: 2 Giri di Francia, 3 Giri d’Italia, 2 Giri di Svizzera, 4 Milano-Sanremo, 3 Giri di Lombardia, 4 Campionati Italiani, per citare solo le corse maggiori. Non riuscirà però mai a vincere un campionato mondiale.
Si ritirerà nel 1954, dopo quasi vent’anni di professionismo. Grande polemista, commenterà in qualche occasione il Giro per la RAI e sarà da quei microfoni che lancerà una frase destinata a entrare nell’uso comune «È tutto sbagliato, è tutto da rifare».
Sin qui il Bartali campione, il Bartali che riempiva le cronache dei giornali.
Un altro aspetto, relativo al Bartali uomo, è emerso, però, soltanto negli ultimi anni e ufficialmente riconosciuto nel settembre 2013, ci ha rivelato l’essenza profonda, sconosciuta ai più, del Bartali uomo. Quasi un anno fa, a oltre tredici anni dalla morte quindi, che sopravvenne il 5 maggio del 2000, Gino Bartali è stato ufficialmente dichiarato “Giusto tra le Nazioni” dallo Yad Vashem, il memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell’olocausto, per aver salvato quasi mille ebrei dai nazisti: la nomina di “Giusto tra le Nazioni” è un riconoscimento per i non-ebrei che hanno rischiato la vita per salvare quella anche di un solo ebreo durante le persecuzioni naziste. Nella motivazione si legge:
«[…] nel corso dell’occupazione tedesca in Italia ha fatto parte di una rete di salvataggio i cui leader sono stati il rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l’arcivescovo della città cardinale Elia Angelo Dalla Costa (anch’egli riconosciuto Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem). Questa rete ebraico-cristiana, […] ha salvato centinaia di ebrei locali ed ebrei rifugiati dai territori prima sotto controllo italiano, principalmente in Francia e Yugoslavia». Agendo «come corriere della rete, nascondendo falsi documenti e carte nella sua bicicletta e trasportandoli attraverso le città, tutto con la scusa che si stava allenando. Pur a conoscenza dei rischi che la sua vita correva per aiutare gli ebrei, Bartali ha trasferito falsi documenti a vari contatti».
Per il coraggio e l’umanità non comune, il ciclista toscano aveva già ricevuto la medaglia d’oro al merito civile dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi «Per aver salvato almeno 800 ebrei».
E sì, se Ginettaccio non ci fosse stato veramente lo si sarebbe proprio dovuto inventare!
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