La mattina del 16 marzo 1978 l’auto che trasportava l’onorevole Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana e uno dei politici più in vista dell’epoca, dalla sua abitazione alla Camera dei Deputati, dopo aver percorso poche centinaia di metri, fu bloccata in via Mario Fani a Roma da un commando delle Brigate Rosse composto da diversi terroristi che avevano seguito il corteo mentre altri erano già appostati in loco. L’onorevole Moro si recava in Parlamento, e in quel giorno il nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti, stava per presentarsi per ottenere la fiducia.
In pochi secondi, sparando con armi automatiche, i terroristi uccisero i due carabinieri a bordo dell’auto di Moro, Domenico Ricci e Oreste Leonardi, e i tre poliziotti sull’auto di scorta, Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana. I terroristi facevano parte delle Brigate Rrosse, un’organizzazione extraparlamentare clandestina armata che opera in Italia dal 1969 e si proclama ultrarivoluzionaria di estrema sinistra.
L’azione delle BR tendeva dichiaratamente a destabilizzare lo Stato colpendo magistrati, uomini politici, poliziotti, giornalisti, dirigenti industriali. Questa linea toccò il suo culmine nel marzo 1978 con l’appena descritto sequestro dell’onorevole Aldo Moro: ma la “guerra allo Stato”, già da anni portata avanti, proseguì con l’uccisione del magistrato Girolamo Tartaglione (Roma, 10 ottobre 1978), del medico del carcere di Poggioreale Alfredo Paolella (Napoli, 11 ottobre) e del giudice Fedele Calvosa e della sua scorta a Frosinone.
Dopo una prigionia di 55 giorni durante la quale venne sottoposto ad un “processo politico” e dopo che invano venne chiesto uno scambio di prigionieri con lo stato italiano, il cadavere di Aldo Moro fu ritrovato il 9 maggio nel cofano bagagli di una Renault 4 a Roma, in via Caetani.
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