Prima di iniziare questo viaggio nelle caratteristiche distintive del nostro dialetto, bisogna ricordare che, fra le nazioni europee, l’Italia gode il privilegio di essere il paese più frazionato nei suoi dialetti. Avvicinandoci alla nostra realtà linguistica, ci accorgiamo che in Campania non esiste un unico dialetto regionale: il napoletano è semplicemente il dialetto di Napoli, non il dialetto della Campania, dove sono riconducibili dialetti diversi, tuttora vitali e molto parlati. Tuttavia, pur nella loro diversificazione, è riconoscibile una certa omogeneità di fondo, che ci permette di isolare alcuni caratteri linguistici comuni, che sono i più tipici del napoletano, ma nel loro insieme formano la struttura portante dell’area linguistica campana:
– dittongazione metafonetica: quando nella sillaba successiva o in quella finale si trovano -i oppure -u etimologica (che poi dà luogo ad una -o), le vocali aperte toniche -è-, -ò- dittongano in -ie- e in -uo-: lamiento, mbruoglio;
– chiusura metafonetica: quando la metafonesi colpisce le vocali chiuse é, ó, sempre per effetto di una -i oppure di una -u etimologica, la -é- chiusa si chiude ulteriormente in -i-, mentre la -ó- chiusa si chiude ulteriormente in -u-: mise, surze;
– rafforzamento sintattico: l’iniziale consonantica ha una pronuncia rafforzata quando la parola è preceduta da monosillabi o alcune parole particolari: sto pparlanno, ’o ccafè, cchiù fforte, accussì ddoce;
– vitalità del genere neutro: sono neutri tutti quei nomi che designano entità materiali o concettuali viste nel loro insieme e non pluralizzabili: ’o bbene, ’o ppenzà, ’o rraù (da notare che i nomi neutri hanno il rafforzamento sintattico, per effetto dell’articolo ’o);
– variazione consonantica: alcune consonanti in posizione forte (cioè in un contesto fonetico che provoca rafforzamento sintattico) hanno una pronuncia radicalmente diversa da quella in posizione debole: jurnata/gghiurnata, rongo/ddongo, ’uaglione/gguaglione, vocca/bbocca;
– suono indistinto finale: il suono finale atono viene articolato come suono indistinto, che i linguisti chiamano schwà e che nell’Alfabeto fonetico internazionale è trascritto col simbolo /ə/: nirë, scuornë;
– pronuncia fricativa della s-: davanti a labiale e velare (ovvero p, b, f, v) la s- è pronunciata come la sc italiana di scena: ʃpisso, ʃfrantummà;
– conservazione della semivocale j-: jocà, juorno, jettà.
Detto questo, penetrando sempre più nella nostra area linguistica, notiamo che nella provincia di Caserta i dialetti sono in parte diversi da quelli della zona napoletana; vi è, piuttosto, una certa somiglianza con i dialetti del Lazio meridionale. Qui possiamo individuare delle ulteriori specifiche caratteristiche linguistiche:
– articolazione della -a- come vocale posteriore: saccio > sòccio;
– articolo determinativo diverso dall’’o del napoletano: troviamo in prevalenza ’u, ma qua e là si riscontra anche lu, lo, ju e ru;
– palatalizzazione del gruppo -ll-: in alcune parole diventa come -gl- di maglia: capigliu, chigliu;
– affricata palatale: mentre nel resto della Campania gli esiti dal nesso latino pl confluiscono con quelli da cl (quindi avremo chiuovo, chiammà, chiòvere), nel casertano, invece, si riscontra la confluenza opposta, ovvero gli esiti da cl si uniformano a quelli da pl, dando luogo entrambi a un’affricata palatale (corrispondente nella pronuncia alla -c- di certo): ciù, ciòvere, ciàzza, uòcciu. Si tratta di un esito distribuito in modo molto sparso sul territorio e che ha prodotto in alcune zone lo stabilirsi di stilizzazioni parodiche; nell’area tra Roccamonfina e Sessa Aurunca, la frase “Piglia la ciavi appesa a ru ciuovu e trasi ru ciucciu che fore ce ciove”, che N. De Blasi in Profilo linguistico della Campania definisce “blasone popolare”, ha la funzione di identificare, proprio come uno stemma o un motto, un gruppo linguistico, unendo alla caratterizzazione linguistica (in questo caso l’esito particolare di pl) una sottolineatura caricaturale;
– sillaba d’appoggio -ne nell’infinito del verbo: sapéne, visitàne, cantàne;
– passato remoto in -ette: lo troviamo anche per i verbi della prima coniugazione: cantette, penzette.
Ebbene, tutte le caratteristiche che abbiamo incontrato finora sono riscontrabili solo in parte nel dialetto casalese. Questo excursus nel panorama dialettale campano – che ho cercato di rendere il più breve e semplice possibile, in quanto indispensabile per comprendere il resto – ci è servito come premessa alla constatazione sia dei punti di contatto sia delle devianze del nostro dialetto da alcuni tratti linguistici tipici non solo dell’area campana in generale, ma anche del casertano, già a sua volta scostante dal napoletano stesso, e infine perfino dei paesi limitrofi al nostro, fatto questo che lo pone in una posizione di interessante particolarità.
Innanzitutto, i punti di contatto che il casalese ha con l’area linguistica campana in generale, quindi con il napoletano, sono solo i seguenti:
– dittongazione e chiusura metafonetica: rispiettu, fuocu, miezi;
– conservazione della semivocale j-: juocu, jurnata, jenneru, janna;
– pronuncia fricativa della s-: ʃpanne, ʃpilà;
Dei tratti linguistici del casertano, invece, Casale non ha l’articolazione della -a- come vocale posteriore, perché non si dice sòccio, ma sacciu; ne condivide, invece, i seguenti:
– palatalizzazione del gruppo -ll-: chigliu, ninnigliu, gliaglìna, cavagliu;
– sillaba d’appoggio -ne nell’infinito del verbo: ho notato che oltre alle forme verbali lo si ritrova anche in alcune parole tronche: cafè(-ne), accussì(-ne). Il suo uso è, però, ridimensionato, nel senso che non è inusuale, anzi, è abbastanza frequente trovare la forma troncata: faticàne/faticà; abballàne/abballà; mi è parso di notare che la forma con il -ne di appoggio sia più frequente nel parlato degli anziani: probabilmente perché facilita l’articolazione e conferisce quel tipico ritmo a cantilena di cui parlo dopo e che è tipico delle vecchiette.
– passato remoto in -ette: ascette, turnette;
– articolo determinativo alternativo all’’o del napoletano: a Casale rende ‘ru’ e ‘ri’: ru stipu, ri cunti;
– affricata palatale: ciagne, ciàccera; siamo qui al primo fondamentale punto di caratterizzazione del casalese, dal momento che si tratta di un fenomeno che, benché sia tipico dell’area casertana, ci contraddistingue dagli altri paesi a noi prossimi, che hanno evoluto la forma occlusiva (chiagne, chiacchiera) – e dai quali, dobbiamo aggiungere, siamo spesso beffati con il noto detto: “Ma a Casale parlate cu ru ‘ciù’? No, sulu ri ciù viecci!”. Frase che, però, nasconde un fondo di verità: bisogna dire, infatti, che questa affricata, così come la sillaba di appoggio -ne, è tipica soprattutto del parlato degli anziani o, comunque, in generale, di un parlato dialettale più conservatore, poiché nei giovani vi è una tendenza maggiore all’utilizzo dell’occlusiva in luogo dell’affricata: io stessa dico chiagne e non ciagne!
Vi sono, però, alcuni fenomeni che discostano il casalese sia dal napoletano (continuando sempre ad intendere per ‘napoletano’ l’area linguistica campana in generale) che dal casertano. Ovviamente è cosa naturalissima che ogni dialetto evolva delle proprie forme, ma stupisce il fatto che il casalese rappresenti un caso unico nella zona di assenza di alcuni fenomeni rispetto ai dialetti dei paesi a noi adiacenti, i quali conservano in modo più uniforme i tratti linguistici campani: ne sono un simpatico esempio le espressioni “eccola qua” ed “eccola là”, che già a Nocelleto rendono proprio come nel napoletano “obbiccànn” e “obbillànn”, mentre a Casale hanno un esito tutto particolare e caratteristico: “eccula cà” ed “ellula là”!
L’elemento unificatore dei fenomeni che distaccano il casalese dal napoletano è l’indebolimento del rafforzamento sintattico. Indebolito perché, anche se comunque presente, non lo riscontriamo con la stessa frequenza e davanti alle stesse forme che lo producono nel napoletano, in primis l’articolo. Esso è sempre presente davanti ai soliti monosillabi e parole particolari, ovvero a (a vvacante, a ppìeri), cu (cu mme), pe (pe ccarità), ciù (ciù mmegliu), nu (nu ppòzzu), si’ (si’ ffetente), su (su mmoscia, su ll’urdima) tre (tre ssòrdi), e (e mmo?, e vvà), è (è nninnu, è llieggiu), nì (nì mmo e nì mmai), ogni (ogni vvote), cacche (cacche ppizzu), accussì (accussì ffutu), uh, ah enfatici (uh Ddiu, uh ffigliu, ah nnenna mia). Però nel casalese, davanti ad alcune forme le cui corrispettive nel napoletano normalmente lo producono sempre, ovvero gli articoli ru, ri, le e le forme verbali stongu, songu, esso è limitato alle sole parole inizianti per i fonemi b, g (affricata, come in gelo) e -gl-: stongu bbona, songu ggelusu, ru glgliupu, ri ggiùeni, le ggiarramuche; davanti alle restanti iniziali il rafforzamento sintattico è assente: stongu moscia, songu venuti, ru rente, ri lamienti, le femmene.
Si tratta di un fatto significativo, che ha degli esiti linguistici importanti, poiché da esso dipende la vitalità del neutro. Infatti, mentre nel napoletano il rafforzamento sintattico è l’elemento garante del genere neutro del nome, nel dialetto casalese per effetto dell’articolo presentano la consonante iniziale rafforzata soltanto i nomi inizianti per i fonemi indicati prima: ru bbene, ru ggelu. Gli altri nomi neutri, indicanti alimenti, materiali, sensazioni, concetti astratti, se inizianti per altra consonante la presentano non rafforzata: ru casu, ru vinu, ru tortinu, ru friddu, ru cauru, ru tuossicu. Questo aspetto del nostro dialetto produce una conseguenza importantissima, perché priva il genere neutro e il rafforzamento sintattico di un’interconnessione; a differenza del napoletano, la loro corrispondenza non è più sistematica, ma sono due fenomeni distinti, il cui rapporto reciproco è limitato alle sole consonanti iniziali che lo presentano.
Dall’indebolimento del rafforzamento sintattico risulta anche la non sistematica presenza della variazione consonantica. Essa non è più dipendente dalla posizione debole o forte, ma l’uso dell’una o dell’altra forma è legato esclusivamente alla libera scelta di suono del parlante, talvolta con l’intento di ingentilire il contesto, oppure per “modernizzarlo”, ovvero renderlo più simile all’italiano (ad esempio ddoce/roce; in questo caso si tratta, quindi, di una tendenza giovanile, spesso legata anche alla volontà di imitare il napoletano, maggiormente, per così dire, “di moda”), talvolta, all’opposto, per conferirgli una patina più arcaica (come nel caso di bbacante/vacante o ggautu/jautu, occasionalmente usati in genere da un parlante più anziano). Si tratta, comunque, di usi sporadici.
Ma il fenomeno che più di tutti contraddistingue il dialetto casalese è l’assenza totale di un fondamentale tratto linguistico che, oltre ad essere il più caratteristico del napoletano, si riscontra anche in paesi a noi vicinissimi, quali Nocelleto e Falciano del Massico: lo schwà, ovvero il suono finale indistinto. Infatti, per chi parla con noi e ci ascolta, la prima cosa che risalta del nostro dialetto è la sua pronuncia estremamente scandita: la vocale finale è sempre distinta e ben pronunciata e nella maggioranza dei casi è una -u. Nel dialetto casalese terminano per -u quasi tutti i sostantivi maschili (pertusu, cruoccu, strattu) e gli aggettivi maschili (stranghellatu, ‘nzivatu, ‘mbicciusu), oltre a molte forme verbali (jutu, sunatu, jammu, venimmu, pazzèu). Come dicevo prima, si tratta della nostra più singolare caratteristica, che ci distingue dai paesi vicini, in cui c’è una maggiore tendenza alla vocale indistinta finale del napoletano; basta andare, ad esempio, già a Nocelleto, per trovare le forme jamm’, song’.
Il tutto unito, nel casalese più puro, ad un tipico tono cantilenante, difficilmente confondibile e passante sott’occhio… Un dialetto, quindi, sensibilmente marcato da proprie caratteristiche foniche per niente insignificanti, tutt’altro, di grande interesse e spesso singolari.
In conclusione di questo mio percorso, tengo a sottolineare quanto si tratti puramente di osservazioni da me raccolte e analizzate e, non essendo io una linguista, potrebbero non avere un reale fondamento; tuttavia, alla luce di alcuni interessanti studi universitari sul dialetto che ho avuto modo di seguire, uniti all’ascolto diretto e avvalorati dalla lettura della Grammatica del casalese di Walter Spaziano e del Vocabolario del dialetto di Casale di Carinola di www.casaledicarinola.net, ho rilevato, approfondito e voluto condividere: nella speranza che questo sia un punto di partenza aperto ad ulteriori aggiunte e correzioni, che non possono fare altro che arricchire sempre di più, e augurandomi di destare una scintilla di interesse verso questo strumento linguistico che è il nostro spazio di immediatezza e di purezza, che va protetto soprattutto ora che le modalità comunicative sono sempre più segnate dall’impoverimento e dall’uniformazione.
Adele Migliozzi
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Nota della Redazione – Da quest’anno, proprio per dare un seguito concreto al nostro proclamato, per dir così, sguardo verso il mondo giovanile, che rappresenta pur sempre il terreno nel quale vengono piantati i semi della tradizione sperando che germoglino, oltre alla visualizzazione diretta e al collaudato file in formato .PDF liberamente e gratuitamente scaricabile e stampabile dal nostro sito, il nostro Vocabolario sarà disponibile con le stesse modalità gratuite in un file .ZIP da scaricare e copiare sul proprio SmartPhone Android ed Apple per la consultazione in Epub (“pubblicazione elettronica”).
Infine ci si consenta un sentito e doveroso ringraziamento a Nicola Aurilio e a Gaetano Coletta per il loro preziosissimo apporto dovuto al radicato inserimento nella società e nella cultura casalese, ed inoltre alla competenza glottologico-fonetica di Adele Migliozzi il cui studio dei fenomeni linguistici locali si è tradotto nell’accurata osservazione del dialetto casalese, senza il cui apporto, che ovviamente va ad aggiungersi ai trenta collaboratori citati nella fase introduttiva, contributo forse occasionale, forse limitato, ma sicuramente preziosissimo, anzi ci si perdoni se qualcuno è stato involontariamente dimenticato, questo Vocabolario sarebbe stato senza dubbio meno ricco, meno fantasioso e meno rigoroso, INSOMMA MENO DEGNO DI ESSER DEDICATO ALL’INTERO POPOLO CASALESE!
Novelio Santoro e Giuseppe Napoletano, ottobre 2012
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4 thoughts on “Esplorando il dialetto casalese”
Excursus interessante, esaustivo e veramente ben fatto. Complimenti a chi riconosce il valore storico-culturale dei dialetti e dedica tempo e spazio per condividerlo e ricordarlo. Complimenti e grazie ad adele!!
Domenico
Bravo Nove, bella l’idea ed ottimo il risultato. complimenti a te ed a tutti coloro che hanno collaborato con te a questa pubblicazione casalese.
Gianps
Grazie a tutti. Adele è immensa, bravissima, scientificamente poderosa. La parte sull’affricata palatale è poi oltremodo emozionante, e in qualche modo divertente. Quanto è piacevole quest’opera….Emiliano
Veramente interessante! brava adele. Roberto