È ancora quello “Svevo” il periodo d’ambientazione de “L’ombra del Gufo” il nuovo lavoro editoriale di Concetta Di Lorenzo, che dopo “I misteri di Calinulo” ci delizia con un altro romanzo storico, storia reale intrecciata ad arte con la costruzione fantasiosa parto della sua vulcanica e fertile mente per dare origine ad un intrico di avvenimenti che si dipanano prevalentemente tra le nostre strade… di otto secoli fa! La piccola storia che, come al solito, fa la grande Storia.
Anch’esso edito per i tipi di Giuseppe Vozza Editore, L’ombra del Gufo attraverso l’acuto spirito indagatore di fra Rubino, un monaco-detective, priore del Convento francescano di Santarcangelo – Casanova che s’inserisce nella scia di Fratello Cadfael, il fortunato personaggio letterario e poi televisivo ideato da Ellis Peters, e di Guglielmo da Baskerville de Il nome della rosa di Umberto Eco, analizza la vicenda storica di due protagonisti del XIII secolo. Di questa vicenda sono protagonisti il conosciutissimo Federico II di Svevia, e il meno noto, ma decisivo quasi nelle disavventure con la Chiesa del primo, il vescovo Pietro da Calinulo, vescovo di Carinola dal 1239 al 1252 colui che «ci ha lasciato il bellissimo affresco centrale nella basilica medievale di Ventaroli con la scritta che lo riguarda» come ci ricorda Concetta Di Lorenzo.
Uno sguardo d’insieme alla trama:
Anno Domini 1246 – Da qualche mese l’imperatore Federico Il è stato deposto dall’inflessibile papa Innocenzo IV in un Concilio, quello di Lione, che ha ben poco di legale. L’imperatore si rifiuta di accettare l’ingiusto provvedimento papale e corre ai ripari. La maggior parte dei sovrani europei, conoscendo bene il feroce odio del papa per lui, si schiera dalla sua parte: lo Svevo continuerà a essere il loro imperatore, seppur ufficiosamente e nonostante la deposizione papale. Allora come fare per eliminare definitivamente il nemico numero uno della Chiesa?… Mentre il balivo Raymondo è impegnato a Calinulo in una singolare indagine amministrativa, qualcosa di molto strano si verifica al monastero benedettino della Santa Croce, sul Monte Massico: un’antichissima reliquia scompare all’improvviso. Chi l’ha sottratta alla devozione dei monaci e dei tanti contadini che lavorano presso la comunità benedettina? E perché? Quello che sembra una piccola bega locale si rivela invece un esteso disegno nazionale. Ancora una volta sarà Rubino, umile frate francescano e grande amico di Abelardo, priore del monastero, a risolvere il mistero. Egli si ritrova coinvolto in un complicato gioco di spionaggio medievale in cui sarà costretto a indagare in condizioni molto pericolose. Passo dopo passo, con l’acutezza e la caparbietà che gli sono solite, Rubino riuscirà a far incastrare i pezzi di un macchinoso disegno e a svelare una terribile congiura reale, passata alla storia come Congiura di Capaccio.
Per illustrare i millanta interessi di Federico II Hohenstaufen non basterebbe un’enciclopedia per l’importanza che hanno avuto in parecchi campi dello scibile umano, non è un caso che sia stato chiamato Stupor Mundi per la sua capacità di meravigliare non solo i suoi contemporanei. Un esempio della sua personalità poliedrica e affascinante è dato da Le Costituzioni di Melfi, un insieme di norme e leggi intese a regolamentare gli aspetti economici e la vita sociale del regno di Sicilia, e il De arte venandi cum avibus dedicato a una delle sue passioni, la caccia con il falcone, che da semplice descrizione di un hobby finisce per costituire un vero e proprio trattato sull’attività venatoria.
Al contrario per inquadrare al meglio Pietro di Calinulo, uno dei suoi oppositori, che però fu un involontario strumento nelle mani di papa Innocenzo IV, egli stesso a un certo punto si chiede se in realtà non fosse lo stesso Papa ad essere l’Anticristo e non invece l’Imperatore come si voleva far credere con la scomunica comminatagli, affidiamoci alle parole di Concetta Di Lorenzo: «Pietro di Calinulo era un monaco cistercense di fede ghibellina (quindi inizialmente schierato con l’Imperatore, ndr), proveniva dall’Abbazia della Ferraria di Vayrano, dove probabilmente era abate. Citato anche dallo storico Hubert Houben nel suo volume “I Cistercensi nel Mezzogiorno d’Italia”, era stato nominato vescovo di Calinulo (Carinola) da Federico II nel 1239, senza l’assensus di papa Gregorio IX, il quale lo fece indicare nei registri vaticani con la sola iniziale P del nome, come era solito farsi con i vescovi di nomina imperiale. In un periodo in cui si inaspriva la lotta tra Papato ed impero, Pietro di Calinulo fu vittima della “giustizia” reale, perdendo il fratello e un nipote, giustiziati entrambi per alto tradimento. Egli stesso fu accusato di tradimento. Non sappiamo perché Pietro avesse abbandonato Federico II. Fu probabilmente prima arrestato e portato alla Rocca d’Arce, poi fu esiliato e mandato fuori dal Regno di Sicilia. Partecipò al Concilio di Lione del 1245 in cui intervenne contro Federico II e contribuì alla sua deposizione. Pietro rimase vescovo di Calinulo fino al 1252, quando fu nominato arcivescovo di Sorrento. Stranamente poi, ritrovando forse la sua fede ghibellina, partecipò all’incoronazione di Manfredi a re di Sicilia nel 1258 a Palermo. Questo non piacque al nuovo papa Alessandro IV che lo rimosse dal suo incarico arcivescovile. Tuttavia la rimozione fu sicuramente temporanea perché, rientrato nei ranghi della Chiesa, il nuovo papa Clemente IV lo assolse dalla sua colpa e lo rimise al suo posto. Le ultime notizie di Pietro si hanno dai registri del Grande Archivio del Regno in cui nel 1270 Pietro risulta essere ancora arcivescovo di Sorrento».
In verità c’è un terzo protagonista, potremmo dire quasi occulto di questa storia, una sorta di burattinaio che muove i fili nell’ombra senza mai svelarsi ma la cui presenza è addirittura invadente. Si tratta di papa Innocenzo IV (al secolo Sinibaldo Fieschi di Genova) l’acerrimo nemico di Federico II di Svevia che architetta un complotto per uccidere l’imperatore, cospirazione che è il fulcro dell’ordito del libro.
La congiura di Capaccio, dall’omonimo castello ove fu ordita, fu una delle tante che furono intentate ai danni dell’imperatore e a cui lo Stupor Mundi scampò perché sventata in anticipo. Alla macchinazione parteciparono molte tra le famiglie più antiche e potenti dell’Italia meridionale, ma soprattutto ne fu ispiratore papa Innocenzo IV, come storicamente documentato, il Papa che mosso dall’odio personale l’organizzò col preciso scopo di eliminare fisicamente quello che reputava essere l’Anticristo nonostante i ruvidi provvedimenti nel concilio di Lione del 1245, deposizione e nuova scomunica dell’Imperatore, nonostante l’opposizione dell’inviato imperiale il giudice Taddeo da Sessa che si scontrò, oratoriamente e fisicamente come vediamo nel libro, con Pietro da Calinulo. Il Papa alla stessa maniera in cui i potenti eleggevano gli antipapi arrivò addirittura a sostenere una fronda di nobili tedeschi nemici dello Svevia che gli opponeva l’”anti-Re” Enrico di Turingia.
Invece di rivendicare come sarebbe stato normale una supremazia in campo morale e religioso, cosa che nessuno avrebbe contestato al Papa, ai vertici del clero ci si preoccupava di giustificare una qualche pretesa di predominio materiale e politico. Come la stessa Concetta scrive «Cristo non ha mai tenuto conto della politica, solo della salvezza delle anime». Quanti misfatti sono stati perpetrati nella Storia nel nome del Signore!
Tali “pretese” si originarono dalla cosiddetta Donazione di Costantino, il più grande falso della storia della Chiesa, secondo cui il 30 marzo del 315 l’imperatore Costantino il Grande, miracolosamente guarito dalla lebbra, in segno di gratitudine verso i cristiani avrebbe fatto dono a papa Silvestro di molti territori della Penisola. La frode fu scoperta soltanto nel 1440, quando un assistente del Papa, Lorenzo Valla, ne dimostrò ogni incongruenza: beh, fino ad allora il Papa era pronto ad usare tutti i mezzi per il proprio scopo, anche scomuniche e interdetti, distribuiti troppo facilmente, e probabilmente i provvedimenti del concilio di Lione ne sono un esempio, per essere veri provvedimenti religiosi. Ci sembra giusto citare le parole che Dante Alighieri usa nel XIX canto dell’Inferno nella sua Divina Commedia per commentare i deleteri effetti della “Donazione di Costantino” (all’epoca ritenuta ancora verità storica), origine di molti di quei mali che alla fin fine hanno interessato lo Stato Italiano:
Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre
non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre!
Già con I misteri di Calinulo ci occupammo di approccio francescano alla vita cristiana e povertà della Chiesa, ma stavolta a queste tematiche stavolta ne aggiunge un’altra: potere temporale della Chiesa e quindi Regno della Chiesa, o se si preferisce Patrimonium Petri, divenuto nei secoli oggetto del desiderio e della bramosia di molti.
E intanto, grazie al lavoro di monaci e popolani della comunità di Santarcangelo, continuava la costruzione del Convento di San Francesco a Casanova, «una chiesa senza muri, senza recinzioni e aperta a tutti»…