Il primo divulgatore del messaggio evangelico tra i pagani greci e romani, nell’allora mondo mediterraneo, ci consente di fare un bilancio delle sue vicissitudini di vita ed attività grazie alle allusioni autobiografiche contenute nel suo epistolario e all’opera del suo discepolo Luca.
Appartenente fin dalla nascita a tre mondi, giudaico, orientale e romano, Paolo è tarsense, in quanto nato fuori d’Israele e precisamente a Tarso di Cilicia, pur autodichiarandosi israelita per discendenza di sangue: Della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge, fariseo (Fil 3,5); inoltre, dinanzi alla legge egli è anche cittadino romano, privilegio di cui si mostrerà orgoglioso per tutta la sua vita e del quale si avvarrà in più occasioni. Ciò fa sì che al momento della circoncisione gli vengano conferiti due nomi, uno ebraico, Saulo, con il quale è riconosciuto in famiglia e dai correligionari, e un altro romano, Paolo, per i rapporti con la popolazione greco-romana di Tarso
La conoscenza che ne dimostra nelle lettere fa supporre un suo apprendimento della lingua greca nella forma caratteristica di allora, denominata koiné. Dalla frequenza con cui Paolo inserirà nelle lettere riferimenti alla vita cittadina, si può congetturare che il suo animo volitivo s’aprisse con curiosità alle voci del mondo ellenistico, che ribollivano nella cosmopolita Tarso. La città aveva, infatti, agli esordi del I secolo, un certo risalto tra i capoluoghi delle province romane d’Asia per gli intensi traffici commerciali e per lo stimolante clima culturale, gravitante intorno agli studi di filosofia e retorica: Cicerone stesso vi aveva svolto una delle sue prime esperienze amministrative e lo stoico Atenodoro, precettore di Augusto, ne aveva retto per molti anni il governo.
Qui il fanciullo Saulo è educato nella rigida osservanza giudaica, frequentando la scuola della sinagoga e crescendo nel rigido fariseismo paterno. Ancora adolescente, Saulo si reca a Gerusalemme, atto di patriottismo e di culto prescritto dalla Legge; qui, ai piedi di Gamaliele (At 22,3), egli completa la propria formazione ed affina le sue facoltà dialettiche presso uno dei rabbi più reputati d’Israele, in un clima di rigorismo fondato sull’esegesi della Bibbia e sull’osservanza minuziosa della legge di Mosè tramandata verbalmente.
Terminati gli studi, Saulo è di nuovo a Tarso per intraprendere la carriera di rabbino; tuttavia, quando, tra il 30 e 36, la piccola comunità cristiana si consolida e propaga in ogni classe sociale, egli ritorna a Gerusalemme per dare man forte al giudaismo ufficiale minacciato dalla nuova fede: vivissima è, infatti, la reazione dinanzi al diffondersi della dottrina cristiana tra la popolazione ebraica. Qui, intorno al 36, egli assiste alla lapidazione del primo testimone della cristianità, Stefano, reggendo i mantelli di coloro che scagliano le pietre per uccidere il discepolo di Cristo, come dichiara egli stesso: e quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anch’io ero presente ad approvare e custodivo le vesti di coloro che lo uccidevano (At 22, 19-21).
Il fariseo di Tarso che ha la cittadinanza romana è molto conosciuto dal Sinedrio e, nei giorni che seguono alla lapidazione di Stefano, bracca i fedeli della nuova religione spingendosi oltre Gerusalemme, rivolgendosi alle comunità giudaiche della diaspora. Dopo una marcia estenuante su strade desertiche ed assolate, Saulo sta per raggiungere Damasco con la sua scorta, munito di lettere commendatizie dal sommo sacerdote, quando all’improvviso lo avvolge una luce dal cielo; egli cade a terra e ode una voce che lo rimprovera dolcemente, chiedendo: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» «Chi sei, Signore?» chiese Saulo. E la voce rispose: «Sono Gesù, quello che stai perseguitando! Ora àlzati e vai in città; là cʼè qualcuno che ti dirà ciò che devi fare» (At 9, 4-6).
Ecco che ciò che per gli altri apostoli avvenne gradatamente, in lungo spazio di tempo, per Saulo, allora trentenne, si compie in un solo sprazzo di luce. I suoi compagni di viaggio lo conducono per mano in città; ma se il fisico è minato, come egli dice, da una spina nella carne (Cor 12,7), lo spirito è dotato di un tale dinamismo che nessuna forza riesce ad abbattere. È, così, accompagnato da un certo Giuda, che abitava nella Via Diritta, dove resta per tre giorni, con gli occhi affondati nelle tenebre; da lui giunge Anania, uno dei più autorevoli discepoli della comunità cristiana di Damasco, da lui guidato dal Signore: Va’, perché costui è uno strumento da me scelto per portare il mio nome davanti alle genti, ai re e ai figli d’Israele (At 9,15). Questi impone su di lui le mani, sicché gli caddero dagli occhi come delle squame, e riacquistò la vista; poi si alzò e fu battezzato (At 9,18). Saulo, dunque, viene inserito nella comunità cristiana in virtù di una forza superiore alla quale non può resistere. Ma bastano pochi giorni perché, superato lo stordimento della folgorazione, la sua natura riemerga con tutta la forza e riveli i segni distintivi del suo carattere. Luca conclude così il diario di quelle giornate: Subito si mise a predicare Gesù nelle sinagoghe affermando che egli è il Figlio di Dio (At 9,20). Un temperamento impetuoso come il suo, nato per tradurre nell’azione i moti dello spirito, non poteva rimanere inerte.
Dopo l’evento fatidico, Paolo ha i suoi primi contatti con il mondo cristiano non come persecutore, ma come discepolo, tentando subito un’attività missionaria ed apologetica, ma con scarso successo: egli, è infatti, accolto inizialmente con freddezza e timore dai cristiani della città, a motivo del suo passato. Il giudeo-cristiano Barnaba si fa garante della sua conversione, eliminando le diffidenze di Pietro e Giacomo ed iniziando con Paolo una collaborazione che durerà negli anni successivi, la cui prima tappa sarà Antiochia, allora principale metropoli del Vicino Oriente; Luca, laconico come sempre, racchiude in tre righe dei suoi Atti il risultato di quell’opera: Essi parteciparono per un anno intero alle riunioni della chiesa e istruirono un gran numero di persone; ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani (At 11,26). Sicché la designazione di “cristiano”, che ha subito larga diffusione, restando il termine proprio del mondo greco-romano per indicare gli aderenti alla nuova religione, è in un certo modo di origine paolina.
Ad Antiochia, Paolo resterà strettamente legato alla comunità cristiana per alcuni anni, compiendo un’opera alquanto rivoluzionaria: qui, infatti, coadiuvato da Barnaba, non si occupa tanto di ebrei quanto piuttosto di pagani, proseliti o no, che converte al cristianesimo, senza esigere nessun passaggio attraverso il giudaismo. Presumibilmente a partire dal 46, Paolo parte per il primo di quelli che saranno i suoi tre viaggi missionari: i suoi complicati itinerari rendono l’idea dell’audacia della sua iniziativa di portare il Vangelo nel cuore del mondo greco-romano, separandolo nettamente dai legami con il giudaesimo, il che lo rende l’apostolo dei gentili per antonomasia. Il suo merito per l’abolizione della legge mosaica con i suoi molteplici precetti e per la conversione del mondo pagano è grandissimo.
Da Antiochia Paolo passa alla vicina isola di Cipro, dove converte il proconsole romano Sergio Paolo, quindi in Panfilia, Pisidia e Licaonia, percorrendo una quantità enorme di chilometri attraverso montagne e luoghi impervi; da Antiochia, approssimativamente nel 50, Paolo comincia il secondo viaggio, spingendosi verso il nord e giungendo, attraverso le comunità già evangelizzate, fino nella Galazia propriamente detta, poi piegando verso la Grecia e raggiungendo Filippi, Tessalonica, Anfipoli, Berea, Atene e Corinto. Dappertutto l’apostolo patisce molte difficoltà: a Filippi è percosso ed imprigionato, a Corinto è condotto in tribunale davanti al proconsole Gallione, fratello del filosofo Seneca; ad Atene, dove pronuncia il famoso discorso dell’Areopago, è deriso e fallisce del tutto. Il terzo viaggio dura quattro anni circa, dal 54 al 58, ed ha come obiettivo principale l’evangelizzazione dell’Asia: Paolo, coadiuvato da vari collaboratori, si stabilisce per circa tre anni nella grande città commerciale di Efeso, di lì proclamando il Vangelo a Mileto, Colosse, Laodicea e Ierapoli, puntando sui centri più importanti, dove l’uditorio è più vasto e l’evangelizzazione può compiere un cammino più rapido.
Terminati i fruttuosi viaggi missionari, Paolo è accusato falsamente di aver profanato il tempio ebraico introducendovi un pagano: rivendicando il suo privilegio di cittadino romano, è sottoposto a processo e condotto a Cesarea presso il procuratore Felice, che lo fa imprigionare per due anni. Nel 60, il nuovo procuratore Porcio Festo lo sottopone a un secondo processo, nel quale l’apostolo si appella al tribunale dell’imperatore, sicché Festo acconsente: Ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai (At 25,12). Il viaggio, nel quale Paolo s’imbarca alla volta di Roma con altri prigionieri, ha avventure drammatiche: nave in deriva, breve approdo a Creta, naufragio presso l’isola di Malta, dove si colloca l’episodio paolino che più ha inciso nella cultura popolare, ovvero il morso della vipera da cui l’apostolo resta indenne, che è all’origine del patronato antiofidico di Paolo e del complesso corollario di tradizioni legate alla protezione da questi accordata contro il morso di animali velenosi.
Dopo una sosta di tre mesi, si compie l’ultima parte del viaggio: Siracusa, Reggio, Pozzuoli, via Appia, Roma. Il dettagliato resoconto degli Atti termina con l’arrivo di Paolo a Roma nel 61, bene accolto dai cristiani, dove egli resta in attesa del processo, non relegato nel castrum praetorium, ma lasciato libero di dimorare in una casa privata, anche se sotto custodia ed incatenato; risalgono a questo periodo le cosiddette “lettere della prigionia”, che si distinguono dalle altre per intensità di calore umano, nelle quali l’apostolo, pur nella diversità della sua condizione, appare ancora come il grande missionario che svolge un’attività intensa nella Chiesa di Roma e dirige, esortando, ammonendo ed insegnando, i suoi lontani convertiti dell’Asia Minore. Per due anni, quanto dura il domicilio coatto, la sua azione non conosce sosta: nella sua casa, divenuta centro di un’intensa attività missionaria, si avvicendano i componenti della comunità cristiana di Roma.
Il brusco finale degli Atti presuppone senza dubbio una scarcerazione dell’apostolo; tuttavia, che cosa sia avvenuto dopo la liberazione nel 63 si può soltanto congetturare, giacché il viaggio che occupa gli ultimi tre anni della sua vita non ha trovato un informatore attento come Luca. Le scarne notizie sono desunte dalle lettere scritte dopo la prigionia, le cosiddette “lettere pastorali”, poiché dominate da preoccupazioni d’ordine amministrativo. Dopo una sosta in Spagna, Paolo ritorna in Oriente, toccando Efeso, la Macedonia, Corinto, Creta, Mileto e Troade; a Nicopoli d’Epiro, infine, che è l’ultima tappa di cui abbiamo notizia, è presumibilmente arrestato nell’autunno del 66.
Frattanto, mentre Paolo conclude la sua straordinaria impresa, nell’Urbe scoppia, in una notte memorabile, l’incendio che segna l’inizio delle persecuzioni: d’ora in poi, non licet esse christiani, è proibito essere cristiani.
Lo ritroviamo, infine, a Roma, in catene: ciò fa supporre che egli sia stato tratto in arresto nell’ultima tappa del viaggio, essendo la persecuzione estesa a tutte le province dell’Impero. La sua dura prigionia termina presumibilmente nel 67, come affermano Eusebio di Cesarea e San Girolamo, con il martirio per flagellazione, come prescriveva lo ius civium, e decapitazione, a tre miglia dall’Urbe, sulla via Ostiense, in località denominata Aquae Silviae, oggi Tre Fontane, secondo l’uso in base al quale l’esecuzione di un cittadino romano dovesse avvenire fuori dalle mura cittadine.
Già durante il secondo viaggio, egli avvia un nuovo metodo di apostolato, aggiungendo alla predicazione diretta lo scritto sotto forma di lettere, piene di affetto ed amorosi consigli, ma anche eco fedele delle crescenti preoccupazioni dell’apostolo. In esse è possibile leggere un quadro che getta una luce sconcertante sulla vita infaticabile del missionario: disagi, prigionie, pericoli di morte, naufragi, guadi difficili di fiumi, incontri con briganti, incomprensione ed ostilità da parte di alcuni cristiani. Esse, inoltre, scritte in uno stile personalissimo e di grande efficacia, sanno elevarsi su un piano universale con consigli ed idee che trascendono il caso concreto per rivestire un’attualità eterna, lasciando trasparire lo slancio, la tensione, il calore dell’apostolo, teso come un arco ad arroventare la parola con la sua fiamma.
La possibilità di fruizione ed apprezzabilità dei suoi scritti da parte di tutti gli uomini, sia cristiani che non, in uno spirito di condivisione oltre ogni separatismo culturale e religioso, è all’origine del carteggio apocrifo attestante uno scambio di lettere tra Paolo e il filosofo Seneca, quel saepe noster dei cristiani, in quanto entrambi accomunati dal medesimo alto contenuto morale e spirituale.
Adele