Ipotesi queste che a una mente “scientista”, propria cioè di chi ritiene come unico sapere valido quello delle scienze fisiche e sperimentali, possono sembrare quanto meno bizzarre e fantasiose, se non addirittura assurde e nocive. Grazie ai social network e alla velocità delle informazioni nell’epoca di internet, poi, la circolazione delle opinioni dei negazionisti del Covid (e prima di loro dei negazionisti dei cambiamenti climatici) ha avuto vita facile, permettendo la creazione di un fronte compatto e non così esiguo come si potrebbe pensare.
A ben guardare, però, il rifiuto e la negazione di una pandemia non è tema dei nostri giorni, ma ha accompagnato l’uomo in ogni epoca. Le ragioni? Essenzialmente due: economiche e psicologiche.
Nei secoli, però, sono state molte le malattie epidemiche ad essere state negate. Prendiamo la febbre Spagnola per esempio (così chiamata anche se prove affermano con certezza che provenisse dagli Stati Uniti): siccome ebbe una diffusione quasi incontrollabile nel periodo della Prima Guerra Mondiale, non se ne poteva parlare apertamente perché la censura di regime dei Paesi belligeranti imponeva di tenere alto il morale dei soldati impegnati al fronte. L’unico Paese che non avesse questi problemi era la neutrale Spagna e quindi lì se ne poteva parlare liberamente, da qui il nome Spagnola;
Non è l’unico caso. Di poco precedente, il vaiolo e il colera in Calabria: il ministro Giolitti li minimizzò al punto di ridurli a poco più di una febbre («una febbre di altro tipo» diceva Giolitti) cui non bisognava dare eccessiva importanza.
La Febbre Puerperale risultava esiziale per tutte le donne che venivano ricoverate in ospedale per partorire: c’era chi, come Ignác Semmelweis un medico ungherese, sosteneva che si trattasse di una febbre causata dalle particelle cadaveriche sulle mani dei medici, dall’altra parte altri medici sostenevano che, rimaste incinte da giovanissime, le donne portassero in grembo il seme della colpa o anche che la malattia fosse dovuta a sommovimenti tellurici. Purtroppo a Semmelweis nessuno ha creduto ed è morto solo e pazzo, mentre invece è evidente che avesse ragione.
Una cosa simile accadde per il colera: uno scrittore del Sud, tale Mario Adorno, sosteneva che il colera fosse causato da un virus borbonico, un tipo di complottismo politico quindi. Tutto ciò ci riporta alla ricerca dell’untore, della necessità di trovare la causa più vicina del diffondersi dell’epidemia che di solito, in passato, veniva attribuita alle persone che vivevano nella marginalità sociale.
La parola “untore” evoca la memoria manzoniana della Peste del 1630. “Don Ferrante, il marito di donna Prassede, nei Promessi Sposi cerca in tutti i modi, pseudoscientifici ovviamente, di dimostrare che di fatto la malattia non esiste. E da molte fonti risulta che già a quell’epoca si attribuiva la colpa agli untori e ai medici che diffondevano l’epidemia per proprio tornaconto personale” (Trump non ha inventato niente!).Perché tutto questo? Una dichiarazione dello stato di epidemia comportava paralisi economica, territorio bandito da ogni scambio e da ogni contatto esterno, disoccupazione e gente che moriva di fame, quindi meglio parlarne a bassa voce, e poi anche all’epoca lo Stato provvide ad esborsi per sostenere le persone in difficoltà, sapendo di compromettere la stabilità economica per tantissimi anni futuri. È sorprendente come le dinamiche di oltre 400 anni fa somiglino in tutto e per tutto a quelle di oggi e questo grazie all’ansia, la vergogna e, come abbiamo appena visto, per timore della crisi economica.
Respingere i cattivi sentimenti negando qualcosa di spaventoso o difficile da comprendere fa sentire meglio il negazionista. C’è un immediato rilascio di tensione, se poi il negazionista fa politica cerca di infondere tranquillità nell’altro attribuendosi fantomatiche facoltà taumaturgiche e divinatorie. Come bloccarli? Non esiste un interruttore per farlo istantaneamente e forse, e questa è sicuramente la parte più difficile, bisogna ragionare con loro.
* in foto un medico, anzi un cerusico, del Medioevo con il “camice da lavoro” e la maschera con il caratteristico naso allungato per tenere il più lontano possibile dal proprio naso i mefitici e pericolosi effluvi pestilenziali