Appena dopo il concilio di Gerusalemme del 49, su sollecitazione di Paolo e Barnaba si decise di non richiedere l’osservanza della Legge mosaica ai convertiti dal paganesimo, Paolo di Tarso, dopo essersi separato da Barnaba imbarcatosi per Cipro, con Sila (o san Silvano) partì per il suo II viaggio missionario e a Listra si unì a loro Timoteo, un giovane di vent’anni che sarà il braccio destro di Paolo.
Le regioni toccate sono la Galazia del sud, la Macedonia e la Grecia. In Galazia Paolo cade gravemente ammalato. La povera gente di quei luoghi sconosciuti cura Paolo con delicatezza e bontà. Paolo ne è commosso e fonda una comunità che rimarrà sempre nel suo cuore come la prediletta («Lettera ai Galati»). In verità avrebbe voluto predicare il Vangelo nelle zone vicine, ma in sogno vede un abitante della Macedonia che gli dice «Vieni in nostro aiuto» e opta per quelle terre. Quando s’imbarcano per la Macedonia, si è unito a loro Luca, un fine scrittore già medico ad Antiochia. Sarà lui a scrivere il terzo Vangelo e gli Atti degli Apostoli. A lui dobbiamo quasi tutto ciò che sappiamo sull’apostolo Paolo.
Giungono alla città macedone di Filippi. Predicano Cristo, fondano una piccola comunità cristiana e le Chiese di Filippi, Tessalonica e Berea, ma ecco un avvenimento strano che fa precipitare le cose. Una giovane schiava invasata da uno spirito, viene utilizzata dai suoi padroni come un fenomeno da baraccone per fare soldi. Mentre Paolo passa per la strada, essa si mette a gridare: «Questi uomini sono i servi del Dio Altissimo, che vi annunciano la via della salvezza». Paolo ha compassione di quella giovane invasata, e ordina allo spirito: «In nome di Gesù, esci da costei!». Il demonio esce dalla ragazza.
Un piccolo inciso per sottolineare una curiosità: San Paolo è legato al famoso mito del Tarantismo, coloro che sono vittima dei morsi di ragni velenosi, definiti in dialetto salentino “tarante”, e tornato in voga al giorno d’oggi come danza popolare. Galatina in provincia di Lecce, è infatti sede della Cappella di San Paolo dove bevendo l’acqua del pozzo, posto all’interno della casa, origine della Cappella stessa, e facendo il segno della croce sulla ferita del malcapitato, secondo la credenza si poteva sconfiggere questa brutale malattia. Il rito si svolgeva al ritmo incalzante di suoni di tamburelli, violini, armoniche, organetti (e i brani di “Pizzica-Pizzica” o “Pizzica-Tarantata”), e avveniva proprio nella Cappella di San Paolo, dove si invocava, con canzoni e preghiere, la grazia del Santo. Solo dopo aver bevuto l’acqua miracolosa e aver vomitato nel pozzo, la grazia si poteva ritenere ottenuta.
Dunque, riannodiamo le fila del nostro discorso: i padroni della giovane indemoniata, però, che perdono così la fonte dei loro loschi guadagni, vanno sulle furie. Sollevano la folla e trascinano Paolo e i suoi in tribunale. I magistrati presi dalla paura, fanno flagellare Paolo e Sila e li sbattono in prigione. Gli altri carcerati li sentono pregare, meravigliati e timorosi. Ecco dunque una violenta scossa di terremoto. Le porte si spalancano, le catene si staccano dai muri. Svegliatosi di soprassalto, il carceriere vede le porte aperte, sguaina la spada e sta per uccidersi, convinto che i prigionieri siano fuggiti anche per colpa sua, ma Paolo: «Non farti del male, siamo tutti qui». Il terremoto e la calma di Paolo e di Sila, sconvolgono il carceriere che si getta tremante ai loro piedi, e domanda: «Signori, che debbo fare per salvarmi?». Gli rispondono: «Credi nel Signore Gesù e sarai salvo, tu e tutta la tua famiglia». Li porta nella sua casa, lava loro le ferite e chiede chi sia Gesù. Paolo gli comunica con parole semplici il messaggio di Gesù, e quella notte stessa lo battezza, insieme alla sua famiglia. All’alba i magistrati inviano l’ordine di liberare i due prigionieri. Ma Paolo si ribella: «Come? Hanno pubblicamente flagellato, senza processo, due cittadini romani, e adesso ci cacciano via di nascosto? Vengano loro stessi a chiederci scusa e a rimetterci in libertà». Appena i magistrati sanno che sono cittadini romani, sono presi da paura. Vengono e si scusano per tutto ciò che hanno subito e li pregano di lasciare la città prima che sorgano altri tumulti («Lettera di Paolo ai Filippesi»).
Dopo esser partiti affrontano altre tormentate predicazioni nel nord della Grecia, Paolo giunge solo ad Atene. Roma è la capitale dell’impero, Gerusalemme è la città santa, Atene però, è il centro della sapienza e delle arti. Paolo raggiunge la comunità ebraica e parla nella sinagoga, ma avvicina anche gli intellettuali e la gente comune sulla pubblica piazza. Qualcuno dei celebri maestri di filosofia lo sente parlare e gli propone di esporre le sue idee all’Areopago, dove si radunano i saggi della città. Paolo accetta e si prepara con uno splendido discorso, il famoso discorso sul “dio ignoto”, in cui dice: «Ateniesi! Vedo che avete molto rispetto per gli dei. Osservando i vostri monumenti, ho visto un altare con la dedica “A un dio ignoto”. Ebbene, io vi voglio annunciare quello che voi onorate senza conoscere: il Dio che ha creato il mondo, che è padrone del cielo e della terra, e abita in templi materiali. Egli da un solo uomo ha prodotto tutto il genere umano e dà a tutti la vita, il respiro e ogni altro bene. Dio, dopo aver tollerato le epoche dell’ignoranza, oggi chiama tutti gli uomini a una conversione generale e universale. Ha stabilito un giorno in cui giudicherà il mondo con giustizia per mezzo di un Uomo da lui scelto e presentato a tutti facendolo risuscitare da morte…». A queste ultime parole l’assemblea si agita, molti ridono: com’è possibile che un uomo sia risuscitato da morte? «Su questo argomento ti sentiremo un’altra volta», dicono a Paolo, e se ne vanno. Insomma pochi ad Atene accolsero il messaggio di Gesù.
Paolo continua il suo viaggio. Giunge a Corinto, grande città, celebre per il suo porto e anche per la sua corruzione, negli anni 51-52. Qui dovette da una parte mostrare la superiorità salvifica della “stoltezza della Croce” sulle elucubrazioni umane della filosofia, dall’altra difendersi dalle insidie dei giudaizzanti, e fu costretto a farlo anche dinanzi al proconsole Gallione, fratello del filosofo Seneca. L’insuccesso di Atene gli pesa, è scoraggiato, stanco. Ha perso fiducia nell’efficacia della sua parola. È tentato di piantare lì tutto ma qualcosa di sconosciuto lo spinge ad andare avanti. A Corinto si ferma un anno e mezzo. Predica e lavora, poiché vuole mantenersi con il lavoro delle sue mani. Parla di Cristo mentre fabbrica ruvidi tessuti con pelo di capra, il mestiere che ha imparato a Tarso. Molti greci accettano le sue parole e si fanno battezzare. Ma la nuova comunità cristiana è turbolenta, instabile. Paolo è sfiduciato, ma Gesù, apparendogli in sogno lo incoraggia: «Scaccia ogni timore: parla, non tacere, perché io sono con te». Da Corinto, Paolo inviò le due Lettere ai Tessalonicesi.
Dopo diciotto mesi Paolo riprende il mare, passa per Efeso, Cesarea, Gerusalemme e rientra ad Antiochia.