Ieri 22 marzo, Giornata Mondiale dell’Acqua, ma diciamo la verità: ce n’è poca, la gestiamo male e dobbiamo imparare a prendercene cura, soprattutto bisogna rammentare a tutti quanto questo elemento semplice e prezioso, fulcro della vita, debba tornare al centro delle nostre azioni quotidiane di cura e risparmio.
Anche perché ci sono alcuni dati che non possiamo ignorare: ad oggi si stima siano ancora 2,1 miliardi (il 30% della popolazione) le persone nel mondo che vivono senza acqua sicura in casa e 4,5 miliardi quelle che non usano servizi igienico-sanitari sicuri. Le cifre fornite dall’Unicef ci dicono che un bambino su quattro a scuola non ha accesso ad acqua potabile e più di 700 bambini all’anno muoiono per diarrea connessa ad acqua non potabile e scarse condizioni igieniche. Le donne che ogni giorno muoiono a causa di complicazioni in gravidanza legate alla mancanza di acqua sicura sono 800.
Dati che ci raccontano di una enorme disparità accentuatasi nel corso dei secoli. Ricostruiamo oggi la storia dell’Acquedotto Carolino un’opera altamente ingegneristica che qualcuno potrebbe, a buon diritto forse, valutare come uno spreco d’acqua, ma se pensiamo che la sua costruzione, concepito come “serbatoio” degli spettacoli d’acqua della Reggia di Caserta risale al 1752, ci si rende conto di come in quell’epoca lo spreco dell’acqua fosse l’ultimo dei problemi.
Il terreno da cui si dipana era feudo di Valle di Maddaloni passò nelle mani degli Acquaviva nel 1544, ai Sermoneta nel 1635 e infine a Carlo di Borbone, Re di Napoli, nel 1753, che acquista tale feudo per un motivo ben preciso: far costruire l’acquedotto (chiamato Acquedotto Carolino in suo nome), progetto affidato a Luigi Vanvitelli,per far arrivare l’acqua alla Versailles di Napoli. Per l’approvvigionamento idrico sfruttava le sorgenti alle falde del Taburno, a 254 metri sul mare.
Lungo 38 chilometri, l’acquedotto Carolino era costituito da un condotto largo 1,20, alto 1,30 con 67 torrini a pianta quadrata per gli sfiatatoi e per accedere all’acquedotto per eventuali controlli. I lavori iniziarono nel 1753 tra lo scetticismo generale delle maestranze dell’epoca che vedevano l’opera come qualcosa di tecnicamente impossibile da realizzare. Non per Vanvitelli. Iniziano tutta la serie di trafori nei monti e il ritrovamento delle relative sorgenti, ma il vero ingegno dell’architetto fu quello di superarsi e superare anche l’antica grandiosità romana con “I ponti delle valli”, ossia un ponte lungo più di 500 metri per collegare il monte Longano al Garzano. Si tratta di una grande e lunga struttura che attraversava la valle di Maddaloni, il più grande e il primo in Europa, costruito sul modello degli acquedotti romani, si compone di triplici arcate alte fino a 55 metri.
Il lavoro si divise in tre grandi blocchi: dal monte Fizzo al monte Ciesco, un secondo blocco dal monte Ciesco al Garzano e dal Garzano fino alla reggia. Terminato finalmente dopo 17 anni di lavoro per un’opera che fu considerata tra le grandi opere ingegneristiche del XVII secolo, l’acquedotto, insieme alla Versailles di Napoli e al complesso di San Leucio rientrano nel patrimonio Unesco dal 1997.
È anche così che inizia la storia di uno dei più apprezzati monumenti italiani, apprezzato soprattutto nel mondo, come gran parte dei beni culturali italiani, ma anche, ahinoi, uno dei meno valorizzati del nostro Bel Paese.