Nel giorno in cui si fa memoria dell’ingresso di Gesù Cristo nella città di Gerusalemme, quando l’agitare delle palme segnava tangibilmente il giubilo del popolo che lo accoglieva festosamente, occupiamoci nuovamente di chi ha ricostruito in pochi metri la Passione di Gesù Cristo nel legno, materiale nobilissimo ma che purtroppo subisce facilmente le ingiurie del tempo, delle porte della chiesa di Casale di Carinola, diocesi di Sessa Aurunca, territorio della provincia di Caserta.
Come dicevamo già in passato abbiamo dedicato uno dei nostri articoli all’autore materiale, al falegname per intenderci, che con l’arte del suo lavoro manuale realizzò nel 1956 le porte della chiesa SS. Giovanni e Paolo di Casale di Carinola. Quel falegname era Giuseppe D’Angelo, mastu Peppe com’era confidenzialmente chiamato, e l’occasione per il nostro articolo era data dai restauri operati nel 2010 in occasione del 50° anniversario dell’incoronazione di Ss. Maria delle Grazie Patrona di Casale. Quelle porte furono realizzate dietro suggerimenti del compianto don Giuseppe Gicando Struffi, con disegni ispirati alla Passione di Cristo del prof. Luigi Pietroluongo. Orbene noi abbiamo cercato per anni l’originale di quei disegni approfittando della disponibilità dei familiari, ma non essendo stato possibile ritrovarli proviamo comunque a puntare l’attenzione direttamente sui pannelli realizzati.
Solo i battenti della porta centrale, essendo più alta, sono divisi in quattro parti di cui quella superiore, la terza e la quarta (quella in basso) sono dei fregi di Giuseppe D’Angelo, mentre la seconda, la prima invece per le due porte laterali più piccole, contengono in degli esagoni oblunghi circondati da quattro borchie i disegni del prof. Luigi Pietroluongo: un vero e proprio sunto della Storia della Passione disegnati originariamente su carta e meravigliosamente scolpiti nel legno da mastu Peppe. Vediamoli nel dettaglio, immaginando che un ipotetico spettatore le guardi dalle scale esterne:
«Allora Pilato prese Gesù e lo fece flagellare» (Vangelo di san Giovanni)
Su un battente, dunque quello all’estrema sinistra del nostro ipotetico spettatore, vediamo la colonna della flagellazione (per san Giovanni evangelista Pilato fece flagellare Gesù per dare soddisfazione ai notabili ebrei che lo accusavano e nello stesso tempo per cercare di impietosire il popolo giudaico che invece, non pago di quella vera e propria tortura, continuò imperterrito a chiedere a gran voce la sua condanna a morte, condanna che Pilato infine concesse) e poi la frusta della flagellazione, il terribile flagrum romano, munito di palline di metallo o frammenti d’osso, che laceravano la pelle e strappavano pezzettini di carne.
«I soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: “Salve, re dei Giudei!”. E gli davano schiaffi» (Vangelo di san Giovanni)
Dall’altro lato la corona di spine, parodia della corona civica indossata dagli imperatori, che gli calarono sul capo, e non certo delicatamente come si fa per la corona di alloro destinata ai campioni sportivi, e la canna di bambù che i soldati romani gli diedero come ironico e beffardo scettro. A completamento del loro crudele scherzo per colui che si professava Re dei Giudei, i soldati si divertirono a umiliarlo rivestendolo di un mantello purpureo.
«ECCE AGNUS DEI» è l’espressione che è incisa sul sudario che avvolge la croce nel pannello di sinistra della porta di centro. Sono queste le parole che il sacerdote pronuncia nella celebrazione eucaristica prima di comunicarsi e prima di distribuire l’ostia ai fedeli che si accostano alla mensa del Signore, ed è tratta dal vangelo di Giovanni «Agnus Dei qui tollis peccata mundi, miserere nobis». Trattandosi poi della porta di un’abitazione, ogni chiesa è la casa del Signore, non possiamo non ricordare che l’’immagine dell’agnello di Dio trova la sua origine prima nel culto dell’Antico Testamento e anzitutto nell’agnello pasquale degli Ebrei citato nell’Esodo il cui sangue, posto sugli stipiti delle porte, avrebbe protetto dall’Angelo della Morte. Possiamo quindi spingerci ad assegnare una sorta di valore apotropaico e beneaugrante a questa sacra scritta?
Il motto «NON ERUBESCO EVANGELIUM» («Non mi vergogno del vangelo») occupa la parte sinistra di un vangelo diviso in due da una spada, probabile metafora del Potere Romano che cercava con la forza di ostacolare la nuova fede, e le parole «SCIO CUI CREDIDI» («So a chi ho creduto»), tratte dall’antifona d’ingresso della II lettera di S. Paolo a Timoteo, uno dei suoi più stretti collaboratori, che rappresenta una sorta di “testamento spirituale” dell’altro nostro Protettore che, tra l’altro, originariamente aveva come altro “Padrone” proprio quel Potere Romano che serviva fervidamente. La parte della lettera indirizzata al suo discepolo prediletto, recitava così «ob quam causam etiam haec patior sed non confundor scio enim cui credidi et certus sum quia potens est depositum meum servare in illum die» («È questa la causa dei mali che soffro, ma non me ne vergogno: so infatti a chi ho creduto e son convinto che egli è capace di conservare il mio deposito fino a quel giorno»). È l’ultima lettera scritta da Paolo durante il secondo processo a Roma e poco prima dell’esecuzione.
«Giuseppe di Arimatea, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce» (Vangelo di san Marco)
In conclusione della triste, e nel contempo gloriosa, vicenda evangelica della crocifissione vediamo sul pannello di sinistra la scala a pioli usata durante la deposizione, secondo alcune fonti da Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, e le lance romane tra cui presumibilmente quella, rimasta emblematica, di Quinto Cassio Longino il soldato romano, poi Santo, che per accertarsi della morte di Gesù ne trafisse il costato. Secondo alcuni Longino fu anche il centurione citato nel vangelo di Matteo che riconobbe la natura divina di Gesù, esclamando «vere iste Filius Dei erat», “veramente costui era Figlio di Dio”.
«[La croce è] la gloria di colui che fu crocifisso» (Lettera ai Colossesi – san Paolo )
Infine, nell’altro battente, vediamo come nella gloria del Golgota, con tutte le tre croci, strumenti di supplizio frequentemente usate dalla giustizia dei Romani, la croce di Gesù, trionfi, come simbolo di vita, giganteggiando sulle altre e cioè sulla morte.
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Ci auguriamo di non esserci discostati troppo dal pensiero di colui che ha concepito questi disegni, ma purtroppo non potendo avere di persona le spiegazioni approfondite del compianto prof. Luigi Pietroluongo siamo “costretti” soltanto ad ammirare e commentare la sua interpretazione della Passione, resa in maniera sublime dall’opera lignea di Giuseppe D’Angelo, risalente a quel lontano 1956.
7 thoughts on “Casale di Carinola: sulle porte della chiesa la storia della Passione”
Bellissimo articolo! … solo una precisazione: i due pannelli della porta centrale si discostano dal tema della Passione per raffigurare i simboli dei nostri santi Patroni. Per S.Giovanni Battista la croce ( che è simbolo del suo ruolo di precursore che anticipa la morte di Cristo) con il cartiglio “Ecce Agnus Dei” (le parole che Giovanni ebbe a pronunciare vedendo Gesù al Giordano) e il Vangelo con la Spada (e qui non peso ci sia bisogno di ulteriori spiegazioni) per S. Paolo.
Bellissime queste porte, vanno conservate pulite, far conoscere a coloro che verranno le potenzialità che casale possedeva e possiede. I portoni della chiesa sono la storia del nostro paese, la nostra arte. Vanno però ad opera della chiesa custodite gelosamente oltre all’ordinaria manutenzione.
Sono veramente un prezioso capolavoro artistico-storico-cristiano assolutamente da conservare e di cui Casale può vantarsi,nel rispettoso edoveroso omaggio-ricordo dei suoi ideatori artisti.
P:S:anche io penso che la spada ed il vangelo della porta centrale ,siano un chiaro riferimento al nostro protettore S.Paolo.
Donato Iannotta
Avete giustamente elogiato “mastu Peppe”, a mio parere sarebbe stato giusto pubblicare una sua foto.
Ottima idea!
Appena riusciamo a reperirla lo faremo
Grazie alla gentile disponibilità del figlio Enrico, abbiamo inserito una foto di “mastu Peppe” nell’articolo che a lui dedicammo qualche anno fa, articolo il cui link è inserito in questa pagina.
Speriamo di poter fare altrettanto per il professor Luigi Pietroluongo.
le porte vanno salvaguardate