Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, sono gli involontari protagonisti di uno dei casi giudiziari più clamorosi del secolo scorso, clamoroso perché chiaramente infondato, clamoroso perché ha visto un intero sistema statale, quello americano, comportarsi come il peggior fanatico e quasi razzista al grido di “dalli all’immigrato che se è italiano è pure peggio”, clamoroso per la risonanza mondiale che ebbe all’epoca, parliamo degli anni ’20, e delle masse popolari che fu capace di mobilitare non solo in Italia e USA ma nel resto dell’intero pianeta quando l’informazione non era certo immediata e totalmente avvolgente come oggi.
Io dichiaro che ogni stigma ed ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti
Con questo proclama il 23 agosto del 1977, l’allora governatore del Massachusetts Michael Dukakis affrancava definitivamente i due italiani dall’infame crimine loro attribuito, esattamente 50 anni dopo la loro esecuzione sulla sedia elettrica.
Sacco e Vanzetti, o Nick e Bart come vennero affettuosamente chiamati dall’opinione pubblica mondiale, erano due espatriati per ragioni di lavoro, oggi li chiameremmo “migranti economici”, e non si conoscevano nemmeno prima di metter piede sul suolo americano. Pugliese il primo, di Torremaggiore in provincia di Foggia, e piemontese il secondo, di Villafalletto in provincia di Cuneo, erano rispettivamente operaio in una fabbrica di scarpe e pescivendolo ambulante, ma erano accomunati dalle stesse idee socialiste ed essenzialmente anarchiche e pacifiste, tanto che al momento dell’intervento americano nel conflitto del 1915-‘18 si rifugiarono in Messico, con un nutrito gruppo di amici, per non essere arruolati
visto che per un anarchico non c’era niente di peggio che uccidere o morire in nome di uno Stato. Già non erano certo benvoluti gli immigrati, considerati potenziali portatori di minaccia allo stile di vita americano (Vanzetti infatti a proposito dello sbarco avvenuto nel 1908, un anno prima di Sacco, osservò: «Al centro immigrazione ebbi la prima sorpresa. Gli emigranti venivano smistati come tanti animali. Non una parola di gentilezza, di incoraggiamento, per alleggerire il fardello di dolori che pesa così tanto su chi è appena arrivato in America»), ma dopo quell’episodio l’intero gruppo di Sacco e Vanzetti cominciò ad esser seguito dai servizi segreti americani perché implicitamente accusati di codardia e diserzione.
Il 3 maggio del 1920 il tipografo Andrea Salsedo, originario dell’isola di Pantelleria e amico di Vanzetti, fu ritrovato cadavere, spiaccicato al suolo sotto il grattacielo di New York dove aveva sede il BOI (Bureau of Investigation), che tratteneva Salsedo illegalmente. Vanzetti organizzò una manifestazione di protesta che culminò in un comizio che si sarebbe dovuto tenere il 9 maggio, ma insieme a Sacco venne arrestato prima, perché trovati in possesso di una rivoltella e per attività sovversive. Pochi giorni dopo furono accusati anche di una rapina presso il calzaturificio «Slater and Morrill», avvenuta poche settimane prima del loro arresto nei pressi di Boston, rapina in cui erano stati uccisi a colpi di pistola il cassiere e una guardia giurata.
Il processo che si celebrò contro i due italiani si tenne in un clima gonfio di pregiudizi e di ostilità verso gli stranieri, tant’è vero che pur non giungendo mai alla certezza di provare oltre ogni dubbio le accuse avanzate, sfociò in un verdetto di condanna a morte per i due perché fortemente condizionato dall’ansia di placare un’opinione pubblica furiosa e avvelenata dalla violenza a cui bisognava dare dei colpevoli e, non ultimo, a causa della cinica ambizione del giudice Webster Thayer e del pubblico ministero Frederick Katzmann che volevano arrivare comunque a una punizione esemplare per sfruttare a loro vantaggio personale la crescente notorietà del caso.
A nulla valsero le reiterate dichiarazioni d’innocenza di Sacco e Vanzetti; a nulla valsero la scomparsa di decisive prove a discarico per i due; a nulla valsero le continue contraddizioni di testimoni oculari che quando stavano per ritrattare le loro deposizioni venivano imbeccati dall’accusa; addirittura a nulla valse la confessione spontanea di un pregiudicato, tale Celestino Madeiros, che nel 1925
si autoaccusò di aver partecipato alla rapina assieme ad altri complici, scagionando in tal modo di fatto i due italiani; a nulla valsero appelli e manifestazioni di solidarietà e di richiesta di assoluzione da parte dell’opinione pubblica mondiale: la notte del 23 agosto 1927 Sacco e Vanzetti furono giustiziati sulla sedia elettrica. Tra i tanti nel mondo che fecero sentire la propria voce ci fu anche il governo fascista di Benito Mussolini che riteneva il tribunale statunitense «pregiudizialmente prevenuto» nel giudicare Sacco e Vanzetti, ma probabilmente fu intervento timido e tardivo. Anche molti intellettuali levarono le loro proteste spingendo per un nuovo processo, ma tutto fu inutile.
Ci piace concludere ancora con le parole del governatore del Massachusetts Michael Dukakis: «Il processo e l’esecuzione di Sacco e Vanzetti devono ricordarci sempre che tutti i cittadini dovrebbero stare in guardia contro i propri pregiudizi, l’intolleranza verso le idee non ortodosse, con l’impegno di difendere sempre i diritti delle persone che consideriamo straniere per il rispetto dell’uomo e della verità», e osservare che, vista l’estrema coerenza e convinzione nei valori professati da Sacco e Vanzetti, mai rinnegati fino all’estremo sacrificio, possiamo dire che anche loro a buon diritto vanno iscritti nel novero dei martiri per un’idea e rappresentano un esempio di cui è opportuno conservare la memoria.
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