Palazzo Petrucci/Novelli di Carinola e la Congiura dei Baroni

Il Palazzo che tra qualche giorno (sabato 25 giugno) ospiterà la serata di gala dedicata alla consegna del Premio Giornalistico Matilde Serao, da anni curato dall’omonima Associazione carinolese, oltre ad ospitare numerose altre manifestazioni e abitualmente le sedute del Consiglio Comunale, è stato testimone di un episodio storico che fa parte dell’epopea dell’Età Rinascimentale, quando la definizione di ITALIA non era ancora nemmeno un’idea, tant’è vero che ci sembra più corretto parlare di “Penisola Italica” e al massimo di Regno di Napoli. Stiamo parlando di palazzo Petrucci/Novelli e della Congiura dei Baroni del 1485-’86.

La Penisola Italica era a quel tempo divisa in poco meno di una decina di staterelli, uno più uno meno, e il Regno di Napoli era di gran lunga il maggiore per estensione territoriale. Dal 1458 sedeva sul trono Ferdinando I d’Aragona (o Ferrante) che cercò di riordinare la struttura dell’antico Stato medievale secondo i suoi principi e i suoi metodi: strumento di questa politica fu la riforma fiscale, che affidava nuovi compiti ad ogni amministrazione comunale, l’Universitas. Anche Carinola era stata un’univertas, più o meno dall’anno 1000 quando cioè col Regno normanno di Sicilia s’introdusse il sistema feudale. Dopo il 1140, molte di queste universitas furono trasformate in contee e la Contea di Calenum (o Carinula) dopo varie vicissitudini, prima con gli Angioini e poi con gli Aragonesi, vide indebolirsi di molto il proprio potere (sorte comune a tutte le altre unità locali), finendo in mano a dei feudatari (i Baroni). Ecco, è a questo stato di cose che intendeva porre un freno re Ferrante incoraggiando tali entità amministrative a sottrarsi, per quanto possibile, al peso feudale.

Re Ferdinando d’Aragona non era certo un santo sia chiaro, però andò a cozzare contro i secolari privilegi/interessi dei Baroni: c’è da sottolineare che su 1550 centri abitati, solo poco più di cento erano assegnati al regio demanio, cioè alle dirette dipendenze del Re e della Corte, mentre tutti gli altri erano controllati dai Baroni. Costoro, come scriveva Indro Montanelli nella sua Storia d’Italia

Rappresentavano la nobiltà feudale del Regno, discendevano dai Longobardi, dai Normanni, dai Tedeschi, dai Francesi e dagli Spagnoli, e vivevano nelle campagne, arroccati nei loro turriti castelli. I più ricchi possedevano immensi latifondi, ma la maggior parte campava su pochi ettari di terra, coltivata da contadini affamati e ridotti allo stato di schiavi. I baroni disprezzavano la vita cittadina, snobbavano i borghesi e disdegnavano il commercio e le arti. La loro unica occupazione era la guerra. Se la facevano tra loro e si coalizzavano per farla al Re. Protervi, violenti, riottosi, “uomini”, come disse Machiavelli, “al tutto nimici di ogni civiltà”, tribolavano il Regno con guerricciole fratricide, rivolte, colpi di mano. Molti dei mali che ancora affliggono il Mezzogiorno vanno addebitati a questi ambiziosi, intriganti e indocili signorotti che indebolirono lo Stato fino a sfasciarlo. Per tenerli a bada i sovrani li esoneravano da molti servizi, tra cui quello militare, li esentavano dalle tasse e riconoscevano loro il diritto di farsi giudicare da propri tribunali. L’anarchia dei baroni fu sul punto di essere domata quando Federico II ne fece abbattere i castelli e ne vietò la ricostruzione. Ma alla morte dell’Imperatore svevo essi rialzarono la cresta, né l’abbassarono quando nel Regno tornò l’ordine con gli Angioini. Alfonso d’Aragona [padre di Ferrante, ndr] concesse ai baroni numerosi privilegi, tra cui quello di torturare il reo “senza limite di tempo” e di comminare pene superiori a quelle stabilite dalla legge. Ferrante li alleggerì di alcune imposte, ma nel 1485 essi tentarono di spodestarlo

Tra i congiurati si ricordano Antonello II Sanseverino principe di Salerno, i Caracciolo, principi di Melfi, i Gesualdo, marchesi di Caggiano, i Del Balzo-Orsini, principi di Altamura e di Venosa, i Guevara, conti di Ariano, i Senerchia, conti di S. Andrea e Rapone, Francesco Coppola, conte di Sarno, il principe d’Altamura, il conte di Lauria, il duca di Melfi e… Antonello Petrucci, uno dei proprietari, sicuramente il più famoso, del nostro storico palazzo.

Antonello Petrucci era nato a Teano da un’umile famiglia contadina, aveva mostrato sin da giovane una vivace intelligenza e perciò fu inviato come apprendista presso il notaio Giovanni Ammirato d’Aversa; la facilità con cui imparò a destreggiarsi in materia di leggi lo rese presto noto (tanto che divenne famoso come Antonello di Aversa) e gli valse l’invito del re di Napoli Alfonso I d’Aragona a entrare nella cancelleria reale. Divenne segretario del re Ferdinando I (Ferrante) che gli conferì il titolo di barone e numerosi privilegi feudali (i figli ottennero il titolo di conte di Carinola e di Policastro). Certamente quindi molti degli accordi e delle segrete trame dei congiurati furono, per ovvi motivi di prudenza, ordite nel palazzo carinolese, visto che la residenza napoletana di Antonello Petrucci si trovava nelle vicinanze di Castel Nuovo (o Maschio Angioino) sede della corte reale.

Castel Nuovo o Maschio Angioino
Castel Nuovo o Maschio Angioino

Per farla breve la rivolta si propagò rapidamente in tutto il regno, ottenendo l’appoggio esplicito del pontefice Innocenzo VIII e di quello indiretto di Venezia, mentre il re ebbe aiuti da Milano e da Firenze. Dopo fasi alterne, in cui i ribelli fecero prigioniero il secondogenito del re, Federico, Ferdinando riuscì a reprimere la rivolta con vigorose azioni militari all’interno del Regno e nello Stato Pontificio e a far rinunziare Innocenzo VIII a L’Aquila; alla pacificazione seguì una dura persecuzione dei baroni più compromessi, che furono giustiziati (come A. Petrucci e il conte di Sarno) o costretti all’esilio.

Sulle prime Ferrante in verità si era mostrato molto magnanimo coi ribelli e in seguito li invitò addirittura a Corte per festeggiare la riconciliazione. Tutti vi si presentarono. Ferrante in persona li accompagnò in una grande sala, ma a un segnale convenuto fece chiudere le porte di uscita, diede ordine di disarmare gli ospiti e li fece sbattere in prigione, confiscò i loro beni e dopo una settimana li fece processare e condannare a morte.

Il primo a cadere sotto la scure del boia fu un certo Francesco de Petruciis (uno dei figli del “nostro” Antonello) che fu decapitato e poi squartato: la gamba sinistra fu esposta sul ponte della Maddalena, una spalla fu appesa a un gancio a Casa Nova e l’altra a Chiaia. È quasi superfluo dire che sino alla morte del sovrano, avvenuta nel 1494, il Regno non fu più funestato dalle sommosse dei baroni.

In conclusione torniamo al nostro palazzo Petrucci/Novelli e al perché esso sia conosciuto con questo doppio nome. Nel corso dei secoli è ovviamente passato di mano in mano col mutare delle situazioni politiche e delle naturali compravendite immobiliari, ed ha subito qualche frazionamento nella sua struttura interna tanto è vero che un’ala è tuttora abitata dai discendenti di Giovanni Novelli, l’eminente giurista che nel periodo Fascista arrivò ad essere Direttore Generale degli Istituti di Prevenzione e di Pena del Ministero di Grazia e Giustizia e fu anche fondatore di una Rivista di diritto penitenziario. Morì nell’ottobre del 1943: insomma una di quelle personalità che ha dato lustro al nome della nostra terra.

C’è sempre più da rendersi conto che la Storia, quella con la “S” maiuscola, non è passata solo incidentalmente da queste parti, ma vi ha dimorato stabilmente e vi ha anche preso la residenza, palazzo Petrucci/Novelli ne è la prova tangibile. Cerchiamo di non dimenticarlo mai!

 

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