Ore 18 di lunedì 10 giugno 1940: Benito Mussolini, Capo del Governo Italiano e Duce del Fascismo, con queste parole annuncia l’entrata in guerra dell’Italia:
Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania! Ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano. La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo
Il giorno prima gran parte dell’Italia sportiva aveva gioito per la conclusione di due eventi, come diremmo oggi, nazional-popolari: il campionato di calcio si era concluso con la vittoria dell’Ambrosiana Inter, dopo un infuocato ed entusiasmante duello con il Bologna. Erano i tempi di Giuseppe Meazza, due volte campione del mondo di calcio, con la nazionale italiana, nel 1934 e nel 1938, uno dei giocatori più popolari e famosi dello sport italiano.
Ma soprattutto, Fausto Coppi, un ciclista italiano alle prime gare, 21 anni ancora da compiere e semi sconosciuto, vince a Milano, il 28° Giro d’Italia: soprattutto perché il Ciclismo godeva a quell’epoca di una popolarità inimmaginabile, molto più del Calcio. È il più giovane vincitore della storia del Giro (20 anni, 8 mesi, 25 giorni), record tuttora imbattuto: aveva iniziato la corsa come gregario di Gino Bartali, capitano della squadra Legnano, il favorito, che a causa di una caduta causata da un cane, venendo giù dal Passo della Scoffera, un salita appenninica, continuerà la gara con un femore incrinato e concluderà al 9° posto. Coppi conquista la maglia rosa con una grande impresa sull’Abetone, il 29 maggio. Qualche settimana più tardi partirà, dopo il grande trionfo, soldato per la guerra.
Torniamo al giorno segnato dal destino. Mussolini, dopo aver stretto con la Germania il “Patto d’acciaio” del 22 maggio 1939 con intenzioni ben diverse dalla guerra immediata, decise l’intervento dell’Italia a fianco di Hitler dopo aver constatato la schiacciante superiorità dell’apparato militare tedesco. La forza della Wehrmacht tedesca consentiva ad Hitler di portare avanti la guerra-lampo (blitzkrieg) che tanti successi stava assicurando alla Germania nazista e il Duce, pur rendendosi conto dell’arretratezza militare italiana – le tanto decantate otto milioni di baionette erano solo una favola del Regime – e consapevole del fatto che difficilmente le sue Forze Armate sarebbero state in grado di sostenere un conflitto prima di tre anni, come si evince da rapporti segreti che egli stesso si faceva preparare, decise l’intervento nel timore che Hitler vincesse la guerra da solo e che non potesse esserci spazio per le sue ambiziose rivendicazioni nel momento della pace (diceva infatti «Mi servono un migliaio di morti per poter sedere al tavolo dei vincitori»).
A condurre, dunque, il Duce alla fatale decisione furono l’illusione di poter conseguire una rapida vittoria, e il viscerale, incontenibile odio per la Francia e la Gran Bretagna; del resto, come ricorda lo storico Giorgio Vecchio, docente di Storia contemporanea all’Università di Parma, «Con la “non belligeranza” proclamata il 1° settembre 1939 (appena dopo l’invasione tedesca della Polonia, n.d.r.), Mussolini si trova in una situazione personale molto difficile. Per anni aveva predicato il carattere virile e battagliero del regime. La guerra era scoppiata e lui non vi aveva preso parte.»
Da un lato quindi c’era la voglia matta di “menare le mani” e dall’altro l’obiettiva inadeguatezza delle Forze Armate Italiane che poco erano migliorate rispetto alla Grande Guerra, anzi erano peggiorate visto che, a fronte di nessun ammodernamento, avevano vent’anni in più, e ancora c’era da considerare la ritrosia e le posizioni critiche di molti gerarchi fascisti, in primis Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri e genero del Duce, che oltre ad aver più volte espresso la sua personale diffidenza verso Hitler e i nazisti, nel suo Diario annotava che «La notizia della guerra non sorprende nessuno e non desta particolare entusiasmo».
In mezzo, ma questo era l’ultimo pensiero del Duce, c’era il popolo italiano che nonostante le affermazioni di oceanico sostegno al Duce da parte dei cinegiornali fascisti dell’Istituto Luce, era mestamente rassegnato al proprio destino, e si avviava alla guerra come un branco di agnelli al macello. Bisogna tener presente che, in effetti, nonostante la “non belligeranza” gli italiani vivevano già in uno stato di “preguerra” e siccome già conoscevano le privazioni che avrebbe comportato il periodo bellico, cibi introvabili, alimenti razionati, fame, sete e privazioni d’ogni genere, e avendo contezza del fatto che il conflitto non sarebbe stato più un sostanziale corpo-a-corpo e quindi una guerra di trincea come nel ‘15-’18 ma che in pratica si sarebbe combattuto anche e soprattutto in città, non potevano nascondere la propria disperazione. Sentimento questo che si ricava già a partire da quella sera dell’annuncio in piazza Venezia quando l’Istituto Luce riprendendo l’avvenimento, oltre alle immagini di una folla festante e plaudente alle parole del Duce, non può fare a meno di riprendere dettagli di volti e sguardi, che lasciano scorgere una realtà fatta di dubbi ed incertezze.
Si trattava quindi di un consenso reale dettato da vero animo belligerante, o soltanto la rassegnazione ad una decisione ormai avvertita come ineluttabile, rafforzata dalla speranza che si sarebbe trattato di un conflitto breve?
* in foto: 11-12-1941 – Il Duce parla dal balcone di palazzo Venezia – Dichiarazione guerra agli Stati Uniti
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3 thoughts on “10 giugno 1940, un giorno segnato dal destino… infausto!”
Al di la’ dell’enorme e imperdonabile errore della seconda guerra mondiale, oggi un po d’ordine in questa bancarella chiamata “Italia” non farebbe proprio male.
Secondo me tu sei scemo!
addavenì baffone, altro che scemo, ha ragione