Subito dopo il Natale si celebrano i comites Christi – i “compagni di Gesù”, detto in termini più ordinari – e così dopo il protomartire Stefano arrivano l’evangelista Giovanni, i Santi Innocenti, ovvero i bambini uccisi da Erode e gli apostoli Pietro e Paolo, che si veneravano in questo scorcio di giorni prima di essere spostati al 29 giugno.
Il primo testimone della cristianità è lapidato in quel di Gerusalemme intorno all’anno 36. Della sua vita prima che diventasse cristiano non si sa nulla. Non sappiamo nemmeno se fosse un ebreo di Galilea o un pagano proveniente dall’Anatolia ellenica, visto che il suo nome è greco e significa “coronato”. Frequenta gli apostoli, che impongono le mani su di lui ed altri suoi sei compagni (in ciò la tradizione ecclesiale vede la nascita del diaconato, la primitiva comunità di Gerusalemme) e con la sua capacità oratoria converte moltissime persone. Finché, questo predicatore che arringa le folle e ne trascina una parte con sé finisce per infastidire il potere precostituito. Di più: quando discute con i sapienti nel Tempio, riesce sempre a prevalere grazie alla sua abilità declamatoria. Insomma, è un elemento di disturbo: ecco che è accusato di blasfemia dal Sinedrio, il supremo tribunale nazionale degli Ebrei, istituito ai tempi dei Maccabei. L’accusa è di quelle gravi: «Bestemmia contro Dio e contro Mosè». Stefano si lascia andare in una lunghissima autodifesa che è il più lungo discorso compreso negli Atti degli Apostoli. Ricco di saggezza e dottrina, ripercorre le Sacre Scritture sostenendo che Dio aveva preparato l’avvento di Cristo attraverso profeti e patriarchi. L’arringa non ha granché successo: forse spazientiti dall’erudizione del discorso, gli astanti cominciano a rumoreggiare, quindi trascinano il povero Stefano fuori dalle mura della città e lì, in campo aperto, lo sottopongono a lapidazione. Per avere più slancio si tolgono le vesti, che evidentemente limitavano il movimento del braccio, e le depongono ai piedi di un giovane che assiste all’esecuzione, tale Saulo. Questo fariseo di Tarso che ha la cittadinanza romana, è molto conosciuto dal Sinedrio e regge i mantelli di coloro che scagliano le pietre per uccidere il discepolo di Gesù. Evidentemente entusiasta dello spettacolo a cui ha assistito, si lascia andare alla persecuzione dei cristiani. A Gerusalemme quel giorno si è appunto svolta una vessazione contro i credenti nella nuova fede. Saulo come tutti gli altri entra nelle case dei seguaci di Gesù, li preleva ed imprigiona. Molti uomini fuggono da Gerusalemme e si recano in altre città per diffondere la parola di Cristo. Ma Saulo è pervaso dall’imperativo di arrestare i discepoli di Gesù. Così, chiede ai capi del suo popolo il permesso di recarsi a Damasco per arrestare i cristiani della città. Lo riceve e porta con sé un gruppo di guardie. Proprio mentre si sta avvicinando alla città, sulla strada chiamata Diritta all’improvviso lo avvolge una luce dal cielo. Folgorato, accecato e riportato al bagliore di una nuova vita, è scelto da Dio per annunciare la sua parola in tutto il mondo.
Stefano è il primo cristiano a perdere la propria vita per non rinnegare Gesù. In base alla parte del suo discorso autodifensivo riportata negli Atti, egli precede Paolo nell’affermare l’universalità della nuova religione cristiana e il suo ruolo di successione all’ebraismo. Saulo di Tarso, non solo ne approva l’esecuzione, ma sostiene le confessioni dei principali testimoni contro Stefano. Tuttavia, forse senza Stefano non ci sarebbe stato Paolo: il Saulo che assiste ha fatto esperienza dell’accanimento nel distruggere, per poi esperire la sua vocazione ad essere l’elemento di continuità proprio di ciò che desiderava annientare. È il rovescio della sua stessa medaglia, un personaggio affascinante e paradossale, che da oggi si avvia a rinascere come Paolo, il nostro Paolo.
Adele Migliozzi