Sono ormai trascorsi quarant’anni dall’assassinio sulla spiaggia di Ostia, nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975, di Pier Paolo Pasolini. Ma resta la sua eredità, di intellettuale scomodo. Quando, negli ultimi anni, Pasolini svolge la sua attività “corsara” e “luterana”, come intitolerà i suoi scritti, oltre a denunciare le trame e l’astrattezza del Palazzo, oltre a dichiarare “io so, ma non ho le prove” relativamente alla storia recente del Paese, scrisse che l’Italia stava vivendo “un processo di adattamento alla propria degradazione”. Oggi, a molta distanza, non si può dire che quel processo sia concluso, ma certo quelle parole risultano drammaticamente profetiche. Intellettuale vivace, intelligente e curioso – in anni in cui gli intellettuali erano anima della vita sociale e politica –, artista multiforme, poeta, narratore, drammaturgo, regista cinematografico, filologo, critico, giornalista e polemista, quando la commistione di generi era ancora vista con sospetto: a tutto ciò in cui si è cimentato ha impresso un tocco di personale innovazione e lo ha spolverizzato con la sua vena polemica e provocatoria, reduce da una vita contrastata, sofferta e al contempo esibita, patita, difesa. Per la sua critica “all’edonismo consumistico” e “al conformismo interclassista”, ha colto, segnato e rappresentato un momento di profondo mutamento della nostra società che si riplasmava, dalle antiche tradizioni della cultura contadina al materialismo e la violenza del dopo-boom economico. È “l’ultimo apocalittico radicale”, come scrisse Sanguineti; è assertivo e mai dialogico nelle sue esternazioni, nelle sue nostalgie e nelle sue visioni, nel suo non accettare alcuna omologazione, che è poi il suo dato più eversivo. Un’eredità articolata e ricca la sua, che cresce col tempo, la cui attualità, come scrisse il suo amico Gian Carlo Ferretti, “riposa nella duplicità, nell’ambivalenza drammaticamente esibita fra pubblico e privato, fra l’opera e l’uomo, fra la pagina scritta e l’offesa quotidiana sopportata in pubblico e in pubblico denunciata e urlata”.
L’intellettuale dovrebbe essere un ordinatore nel caos della realtà sociale e fornire a chi lo legge un quadro interpretativo. Pier Paolo Pasolini era questo e molto altro: un uomo libero che non ha mai indugiato nel prendere posizione, senza preoccuparsi delle critiche, senza mirare a ingraziarsi qualcuno. Era innovativo e mai scontato nel leggere l’evoluzione dei simboli, nei tempi e nei luoghi. Le sue parole restano, vivono: nitide sequenze visive che insegnano a porsi domande, e rispondersi.
Adele Migliozzi