“Da ragazzo leggevo le commedie di Eduardo De Filippo come romanzi prosciugati, ridotti alla sola azione delle voci. Quelle bastavano a sostenere l’intera narrazione, insieme a pochi cenni di ambiente. Poi le ho viste avverarsi sulla scena con la precisione di una dimostrazione. Alla fine il sipario si chiudeva con lo stesso fruscio di un’ultima pagina. Eduardo De Filippo è stato descritto come un tiranno di attori. Aneddoti si sono ammucchiati intorno a questa fama. Uno, il più gelido, è di una battuta sola: «Perché?». Rivolto a un attore che gli chiedeva di farlo lavorare e che al termine della richiesta aveva aggiunto: «Pur’ io devo campare». «Perché?», col senso di: perché dovresti? Se è mai stata pronunciata, la frase risponde più a un bisogno di smantellare la frase fatta, la formula di rito, anziché a uno schiaffo in faccia, a una supplica. L’aneddoto non aggiunge il seguito, se l’attore ebbe la parte, ma il carattere di De Filippo porta a credere che quella battuta precedeva di un soffio l’accoglienza della richiesta.
In qualche intervista ho letto che lui era spietato con gli attori, perché lo era prima con se stesso. Non succede così. Chi si è inflitto il massimo rigore, la severità peggiore, di solito è indulgente con gli altri perché non vuole augurare a nessuno la persecuzione che si è inflitto da solo. I solitari, quelli che si sono conficcati in un’arte a forza di sforbiciate, sono per contrappeso miti con gli altri. Eduardo De Filippo era solo esigente fino alla scorticazione del gesto e della frase recitata. Pretendeva la nudità dell’espressione da raggiungere. Per lui essere attore era esercizio di ascesi, che in greco vuol dire solo allenamento, applicazione fino a estenuarsi. Nessuna frase fatta, nessun automatismo gli era sopportabile. Nelle repliche innumerevoli dei gesti, delle parti, sera dopo sera, su teatri solenni o sgangherati l’attore tende a innestare il pilota automatico. Con Eduardo in scena questo non poteva succedere. Lì la frusta del suo esempio impediva qualunque rilascio di tensione.
Di un attore si dice che deve avere presenza scenica. È il minimo e non basta. Quel piantarsi sul palco non deve solo bastare a sé stesso, ma deve ordinare attorno a sé lo spazio, come fa il dolore con il corpo, che pure quando occupa la periferia di un piede lo fa diventare il centro dei sensi, a forza di pulsare.
[Erri De Luca, “Napolide”, Dante & Descartes, 2014)
Adele Migliozzi