Nel Cap. VI del primo volume della sua opera “Saggio storico della città di Carinola”, Luca Menna, notaio e storico carinolese del XIX secolo, tratta “Dei vari personaggi ragguardevoli di questa città”, passandoli in rassegna in base alla frazione di appartenenza. Nella sezione dedicata a Casale, si fa riferimento ad un’epigrafe posta nell’atrio di una casa signorile e dedicata ad Aloisio/Luigi Antonio Di Leonardo:
D. O. M.
ALOYSIO ANTONIO DE LEONARDO
VNICO MAGNATV EX VRBE CALENI
DEVASTA RESIDVO
CONIVGI FIDELISSIMO
PARENTI OPTVMO
ZENOBIA DE LAVRENTIO SVESSANA
ET JOANNES DE LEONARDO PIISS. POSVERUNT
VIXIT ANNOS LXV
OBIIT ANN. MDCXXIX
DIE XXVIII MAII
***
“A Luigi Antonio Di Leonardo,
all’unico magnate
della distrutta città di Carinola,
al marito fedelissimo,
all’ottimo padre,
Zenobia Di Lorenzo, sessana,
e Giovanni Di Leonardo, molto religiosi, posero.
Visse 65 anni.
Morì nell’anno 1629, il giorno 28 di maggio”.
(cito la traduzione del Menna)
Dopo averla fotografata col permesso delle proprietarie, mi ha incuriosita la ricostruzione dell’identità del personaggio dedicatario. Ho tentato d’identificarlo consultando gli archivi parrocchiali, ma purtroppo pare che questi ultimi non risalgano oltre il 1700, a causa di un incendio della Chiesa parrocchiale. Ho poi trovato la risposta nel testo sopracitato, dove l’autore commenta così l’iscrizione:
Innanzitutto, occorre premettere che questo piccolo monumento rientra nella vastissima categoria delle epigrafi, iscrizioni incise su marmo o pietra, per tramandare la memoria di un evento storico, di un personaggio o di un atto, esposte o in un luogo chiuso (chiesa, cappella, palazzo) o all’aperto (piazza, via, cimitero). L’essenza della sua solennità sta nel “D.O.M.” iniziale, abbreviazione dell’espressione latina “Deo Optimo Maximo”, ovvero “A Dio buonissimo e grandissimo”. Possiamo trovarla, infatti, in numerose chiese, palazzi e lapidi, giacché ciascun edificio o monumento riservato alle azioni del culto, al termine della sua costruzione, doveva essere ufficialmente inaugurato mediante il rito della “dedicazione”. È chiaro che in questo caso non si tratta di una dedicazione strettamente religiosa, poiché il culto è da intendersi come “memoria di persona umana degna di lode per la posterità”.
Si tratta di un vero e proprio pasticcio storico che si è creato dal Medioevo in poi ed ha prodotto l’errata estensione del termine a Carinola, mentre esso è esclusivo di Cales, l’attuale Calvi, la più importante città degli Ausoni, al culmine della sua grandezza nel periodo romano. Carinola, invece, è stata fondata nel VII-VIII secolo d.C. dai Longobardi, che la chiamarono Calinium (anche Calinulum o Carinulum): l’aggettivo corretto riferito a Carinola, dunque, sarebbe “calinense”. Per molto tempo, invece, si è creduto che “Caleno” fosse riferito a Carinola e si è continuato ad utilizzarlo scorrettamente. L’origine della confusione è da attribuire ad un errore di trascrizione dello storico longobardo e monaco benedettino Paolo Diacono, proseguito dagli scrittori del periodo normanno e mai sanato. Tuttavia, applicato al nostro contesto, trattandosi di un’iscrizione celebrativa di un componente della famiglia Rozzera e trovandosi nella loro antica proprietà, “Caleni” qui non dovrebbe designare Carinola, ma Casale.
Ho svolto delle ricerche per cercare di scoprire la causa di questa ipotetica distruzione ed ho trovato due eventi sismici. Il primo è datato al 5.12.1456 in Abruzzo, Molise e Campania, di 7.1 di magnitudo, con ingenti danni e crolli di chiese a Napoli e movimenti anomali del livello marino: in questo caso, però, siamo lontani di oltre un secolo dalla nascita del nostro personaggio, avvenuta nel 1564. Il secondo si è verificato il 05.06.1688, molto violento (XI grado della scala Mercalli), con epicentro nel Sannio, avvertito anche nel Matese e in Irpinia, con danni significativi nel napoletano: in questo caso, però, Luigi Di Leonardo era già morto da 59 anni. Sappiamo, inoltre, che nel 1656 Napoli e la Campania tutta furono decimate dalla peste che nel 1629-1631 aveva colpito Milano, “importata” dai Lanzichenecchi: fu distrutta circa la metà delle famiglie, pressoché spopolate le città vescovili (Aversa, Teano, Pozzuoli) ed estinti molti piccoli borghi. Ma siamo comunque un ventennio oltre la morte del nostro Di Leonardo. Dunque, seppur si sia presentata una qualche devastazione, terremoto, epidemia, incendio o carestia, non abbiamo prove che lo confermino, né elementi di datazione certi che ne attestino il verificarsi nell’arco di vita del magnate.
L’unica spiegazione che posso tentare è di tipo linguistico. Il Menna traduce il “devasta” in “devastata”; ma, dalla consultazione di svariati lessici latini, risulta che l’aggettivo “devastus-a-um” avesse il significato di “valde vastus”, ovvero “molto grande, largo, vasto”, dove il “de” è rafforzativo dell’idea di vastità. Troviamo lo stesso tipo di formazione nel lemma “deparcus”, da de + parcus (“parsimonioso”), quindi “eccessivamente avaro”, “taccagno”. Anche se poco adoperato dagli autori latini, ne fa uso Apuleio nella sua opera principale “Metamorphoseon libri XI”, al libro IX, 40: “(…) iamque [miles], inversa vite, devastiore nodulo cerebrum suum diffindere (…)”: “(…) al punto che questi [il soldato], girato il bastone dalla parte più grossa, era sul punto di spaccargli la testa (…)”.
Insomma, traducendo “l’unico magnate rimasto, (proveniente) dalla grande Carinola”, la nostra epigrafe vuole tramandarci la memoria di un uomo, il più benestante e facoltoso del tempo nel nostro borgo. Stando all’opera storica del Menna, questo personaggio, di cui si tessono le lodi di sposo e genitore, dovrebbe essere un antenato della attuale famiglia Rozzera. Il colonnello Lorenzo Rozzera Senior, di cui ci parla il notaio, aveva sposato, infatti, l’unica figlia ed erede della famiglia Di Leonardo: le due casate si sono così unite per sempre. Parlo di casata perché la famiglia Rozzera era all’epoca una delle famiglie nobiliari del luogo, insieme ai Marra e ai De Stasio, ed era pregiata di Stemma. Il Menna aggiunge, inoltre, che l’iscrizione era posta “nell’Atrio del Palazzo di questa famiglia Rozera”: questo perché, probabilmente, l’attuale abitazione della famiglia Lasco era ai tempi una porzione del vastissimo palazzo signorile dei Rozzera, che doveva estendersi per ampio tratto lungo il lato dove sono ora collocate distintamente le due proprietà. Dimostrazione di ciò si trova in un affresco parietale sul soffitto dell’attuale casa Lasco: un leone in pittura rossa, entrambi – l’animale e il colore utilizzato – simboli di regalità e potere, quindi adatti a designare una famiglia prestigiosa.
di Adele Migliozzi
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Testo e sito di riferimento:
Menna Luca, “Saggio Istorico della città di Carinola”, a cura di Adele Marini Ceraldi, Napoli, 1992
http://carinolastoria.blogspot.it/, a cura di Concetta di Lorenzo
Ringrazio zi’ Rusina e Annamaria Lasco per la disponibilità!
8 thoughts on “Epigrafe del 1600 in un “portone” di Casale”
Perché si parla di una “distrutta città di Carinola”? Forse, ma non so se la cosa sia vera, sembra che in un lontano passato, Carinola sia stata distrutta da un incendio. Ripeto, non so se la cosa è vera, ma molte volte sento dire, “…a fa la fine de carinula vecciu, una lampa…”
Non conosco questo “addittu”. Potrebbe anche darsi che si sia trattato di un incendio. Le cause di una distruzione potrebbero essere tante, naturali o di violenza armata, ma non abbiamo prove o testi che ne parlino e soprattutto qualunque sia la causa dovrebbe combaciare con l’arco di vita del personaggio, quindi 1564-1629, dato che l’iscrizione lo definisce “l’unico nobile rimasto”. E’ più difficile di quanto sembri! Per ora, nel mio piccolo ho “osato” questa spiegazione linguistica. L’importante per me era far conoscere quest’iscrizione perché si trova nel nostro paese e penso sia splendida! Ma tutto ciò che ho scritto è ovviamente ipotetico. Grazie del suggerimento.
puo’ darsi che parli del foro
Brava Adele per questo bell’articolo riguardante la nostra storia casalese che sicuramente contribuirà a far conoscere meglio la nostra realtà locale(misconosciuta da molti purtroppo).
Continua pure a sciorinarci queste interessanti e piacevoli “PERLE STORICHE” per innalzare,se non altro, il nostro grado culturale di conoscenze ed amare sempre più questo nostro “DORMIENTE” E PUR CARO ED AMATO CASALE.
NON E’ UN PAESE DORMIENTE
C’era una volta, non tanto lontano da qui, e non tanto lontano da mare, un paese molto bello.
Tanto bello che nessuno voleva lasciarlo, e, il solo pensiero, faceva scorrere, giù per il viso, lacrime salatissime a chiunque.
Un piccolo paese in collina che, come tanti paesi del sud, viveva di sole, di terra, e di fatica.
Gli abitanti erano dei grandi lavoratori, gente semplice, vera, di poche parole che lavorava dall’alba al tramonto.
I divertimenti erano scarsi, giusto le feste comandate e, naturalmente, quella del patrono, a cui erano devotissimi tutti.
Ma nessuno si lamentava perchè, per divertirsi, bisognava avere tempo e denaro da spendere e, queste erano le sole due cose che scarseggiavano in quel paese laborioso e assolato, ma ricco di tanto altro…..
IL MIO PAESE (CASALE) NON E’ UN PAESE DORMIENTE
Un Brigante
SONO D’ACCORDO NON E’ UN PAESE DORMIENTE
Bisognerebbe finirla di criticare sempre e sputarci addosso da parte di chi riesce a vedere tutto solo nero, la realtà non sarà quella della ricca toscana ma sicuramente meno deprimente di come viene dipinta.
complimenti per la bellissima descrizione dell’epigrafe. grazie Adele
Grazie!
Sta a tutti noi non farlo dormire.
E’ una bella favola. Ma come tu hai scritto all’inizio: “C’era un volta…”