Prima che la popolazione di Casale sentisse l’esigenza di costruire una più capiente e accogliente Casa del Signore, la tradizione indica come prima chiesa parrocchiale la cappella di S. Paolo, in seguito sostituita da alcune cappelle gentilizie erette nel centro del paese, tra cui il primo nucleo della odierna chiesa madre, che per la loro posizione comodamente raggiungibile venivano chiaramente preferite. Si tenga presente che i primi parroci venivano a celebrare direttamente dalla vicina basilica di Santa Maria in Foro Claudio di Ventaroli o dalla cattedrale di Carinola, dove san Bernardo trasferì la sede vescovile intorno al 1100: la cappella dedicata a san Paolo Apostolo perse quindi la qualifica di chiesa parrocchiale allorquando le mutate condizioni di urbanizzazione consigliarono di ampliare quella che adesso è la chiesa madre della parrocchia.
La dedicazione all’ “Apostolo delle Genti” non è casuale, ma si rifà ad un ben preciso evento storico, edulcorato forse nelle componenti secondarie e arricchito dalla tradizione, ma ampiamente documentato nei suoi aspetti basilari. Dopo aver portato a termine il suo III viaggio di evangelizzazione, Paolo, accusato di un reato grave e punibile con la morte, avvalendosi dei suoi diritti di cittadino Romano chiese e ottenne di esser giudicato direttamente dall’Imperatore. Salpò, da prigioniero, nell’Inverno del 60 e, dopo un travagliato viaggio sulla nave “Castore e Polluce”, fece naufragio a Malta da dove ripartì nel febbraio del 61, giunse a Pozzuoli dove già operava una comunità che invitò l’Apostolo a diffondere i suoi insegnamenti. Paolo si ferma una settimana, per poi riprendere il viaggio fino a Roma. In verità non tutti gli storici sono d’accordo sull’itinerario percorso, ma è probabile che, uscito da Pozzuoli, l’Apostolo abbia percorso la via Campana verso Capua, il centro più importante della zona, poi c’era Sidicinum – l’attuale Teano -, e, più vicino a noi, Forum Claudii – l’attuale Ventaroli -, imboccando l’Appia la regina viarum.
Era la Primavera del 61 d.C.: Paolo di Tarso visitò le zone collinari intorno a Casale. Così come la conosciamo noi, Casale ovviamente non esisteva, c’erano invece delle Villae Rusticae (poderi, masserie) assegnate a militari in pensione dell’esercito romano, che così venivano ricompensati dei loro servigi e nel contempo assicuravano un fidato controllo del territorio in un punto strategico della Campania Felix tanto cara ai Romani, una zona che sembrava una porta d’accesso (come del resto sta a testimoniare il toponimo Pilara, dal greco πύλη=porta, usato fin da tempi remoti) per un territorio collinare dove sorgeva anche un’ara dedicata ad un dio pagano. Catechizzò i residenti mentre erano intenti nel lavoro di coltivazione delle viti, e costoro, tenendo fede all’antico principio della sacralità di un qualsiasi ospite, gli offrirono dei lupini e del vino che loro stessi stavano consumando, proprio dove poi fu eretta l’odierna Cappella.
Ecco in sintesi il perché di questo toponimo tanto caro ai casalesi e della cappella in suo onore, di cui non si conosce con esattezza la data di costruzione ma che bisogna sicuramente far risalire a prima del 1308: essa, infatti, era anche usata come cimitero in cui si inumavano i defunti della zona alta di Casale e solitamente veniva definita “vetere sacello Sancti Pauli” nel liber mortuorum della parrocchia SS. Giovanni e Paolo («Il Sacellum divi Pauli è sempre accompagnato dall’aggettivo “vetus” ad indicare la vetustà della costruzione. Da odierne ricerche sembra che questa chiesetta insista su un’antica fabbrica romana come si evince dalle due pietre angolari […]. Tale ipotesi è avvalorata, altresì, dall’esistenza nei pressi di una strada romana costruita con ogni probabilità al tempo della II guerra sannitica (326-304 a. C.) e chiamata “deverticulum Adriani”, perché fatta ricostruire dall’omonimo imperatore», “Arte sacra di Casale di Carinola”, Gaetano Ruosi, 1940 – 2009) , e l’esistenza di questa chiesa è attestata anche nelle Rationes Decimarum Campaniae del 1308 e 1326, in cui è riportato che il Procurator Domini Bartolomeo di Capua paga per questa chiesa e per altre esistenti in quel tempo nella zona la somma di tarì dieci. La cappella, ad unica navata, è in muratura di tufo locale, all’interno è presente un imponente affresco raffigurante san Paolo attorniato dagli altri apostoli.
Da tempo immemorabile, per rinnovare questo evento, la vigilia della Festa della Conversione di san Paolo che si celebra il 25 gennaio, vengono distribuiti lupini e vino a tutti i pellegrini che si recano sulla omonima collina. La leggenda narra che a disputarsi il luogo e la venerazione per il Santo ci sia stata alle origini un’aspra lotta tra il popolo casalese e quello di Cascano. Con il crescere della popolazione la struttura preesistente dovette risultare inadeguata e l’antico sacello di San Paolo fu ampliato e ricostruito nelle attuali dimensioni dai casalesi, memori dell’antica e pia tradizione della presenza del Santo su queste colline.
NOTE BIOGRAFICHE DEL SANTO – Nato tra il 5 e il 10 d.C., a Tarso, città della Cilicia (Giuliopoli per i Romani) attualmente in Turchia sud-orientale, Saulo era originario della città di Giscala in Giudea; apparteneva ad una famiglia agiata e faceva il tessitore di stuoie, il suo nome lo accomunava direttamente alla figura del primo re d’Israele, quel Saul che peraltro apparteneva come lui alla tribù di Beniamino, cosa che del resto lui stesso afferma
Io sono un israelita… della tribù di Beniamino, Rm 11, 1
La sua condizione economica gli aveva consentito di acquistare la cittadinanza romana, ed essere cittadino romano oltre ad essere una sorta di status symbol dell’epoca consentiva alcuni innegabili vantaggi tra cui il potersi appellare direttamente alla giustizia dell’Imperatore (ecco il motivo per cui, già prigioniero, si recò a Roma nell’ultima parte della sua vita).
La sua permanenza a Tarso, però, lo limitava nello studio della Torah, la legge ebraica, e quindi (all’incirca nell’anno 28) si trasferì a Gerusalemme, grande centro urbano dell’epoca e vero melting pot culturale, per approfondire le proprie conoscenze, già impreziosite dalla cognizione di alcune lingue. L’ebreo Saulo era un laico, fermo nei suoi convincimenti ed inflessibile rispetto ad essi: egli stesso si definisce
fariseo quanto alla legge
anzi è verosimile che avesse già iniziato la sua formazione in una scuola farisaica a Tarso, e a Gerusalemme continuò e perfezionò gli studi presso l’autorevole maestro Gamaliele. Nonostante la sua giovane età divenne uno dei più autorevoli membri del Sinedrio (anche se ciò viene solitamente escluso dai biblisti, nonostante sembri sia egli stesso a ricordarlo in At 26,10).
Saulo era un nazireo, cioè aveva fatto uno speciale voto di consacrazione a Dio, che implicava una vita particolarmente sobria e rigorosa e il portare i capelli lunghi. Per la descrizione del suo aspetto fisico possiamo limitarci a dire che era abbastanza piccolo; in effetti paulus in latino significa “piccolo, di poco conto” e più basso della media dell’epoca, con naso adunco: insomma relativamente ai canoni di bellezza cui siamo oggi abituati possiamo senz’altro dire che era piuttosto bruttino, ma se la bruttezza porta a tali livelli di santità sia essa la benvenuta! Fu appena dopo la lapidazione di santo Stefano, evento che appoggiò e che lo vide presente anche se non fu parte attiva, che ebbe luogo l’episodio cruciale della sua vita. Siamo nell’anno 36 (o 34) e Saulo si stava recando a Damasco avendo avuto l’incarico di perseguitare la locale comunità di seguaci di Cristo, un giudeo morto sulla croce pochi anni prima, particolarmente attiva: all’improvviso una luce accecante lo fece cadere da cavallo e una voce tonante proveniente dai cieli gli chiese:
Saulo! Saulo! Perché mi perseguiti?
L’episodio è descritto esplicitamente negli Atti degli Apostoli:
Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al Sommo Sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati. E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Rispose: “Chi sei, o Signore?”. E la voce: “Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare”. Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno. Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco, dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda
Dopo esser stato guarito da Anania, capo di quella comunità cristiana suo obiettivo, iniziò la parte più feconda della sua vita: quella di servo di Dio e predicatore innamorato dei suoi principi. In seguito alla conversione e al battesimo ricevuto da Anania, Paolo rimase nella città per un tempo indeterminato predicando nelle sinagoghe il messaggio cristiano agli Ebrei. Questi però cercarono di ucciderlo e dovette esser aiutato a scappare, calandolo di notte in una cesta dalle mura cittadine. Un po’ di tempo dopo la conversione si recò a Gerusalemme dove volle incontrarsi con gli Apostoli: immaginiamoci per a un istante la diffidenza con cui fu accolto l’antico persecutore dai seguaci di Cristo che, come minimo, pensarono a un tranello. Trascorso un periodo abbastanza lungo, circa 9 anni, a Tarso e Antiochia in Siria, città dove su impulso di Barnaba, personaggio di primo piano della Chiesa di Antiochia, lavorò assiduamente per un anno (42-43) e ricevette, mediante l’imposizione delle mani, l’investitura missionaria.
Dopo un viaggio con Barnaba a Gerusalemme per portarvi la somma raccolta in una colletta a favore della comunità palestinese, Paolo partì per il primo di quelli che saranno ricordati come i suoi viaggi missionari. Paolo fu un viaggiatore instancabile: è stato calcolato che nel corso della sua vita abbia percorso circa 15.000 km, distanza spaventosa per l’epoca considerando che le distanze si coprivano a piedi, a cavallo, o, a proprio rischio e pericolo, in mare. Con lui furono sicuramente Barnaba, che è tradizionalmente considerato il primo vescovo di Milano, e il cugino di questi Marco, che poi scriverà il secondo vangelo. Il viaggio, la cui durata è compresa tra i due e i cinque anni, si colloca nella seconda metà degli anni 40, e i destinatari della predicazione sono principalmente gli Ebrei, ma anche i pagani: si cominciò infatti ad annunciare il Vangelo ai Giudei e poi, spesso per il rifiuto di questi, ai Gentili. Le tappe furono Cipro, la Panfilia e parte della provincia romana della Galazia; vennero fondate le Chiese di Perge, Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra e Derbe. L’opera di Paolo, così si cominciò a chiamarlo abitualmente, alla maniera latina, dopo la missione a Cipro, At, 13, 9, ebbe grande risonanza presso i gentili. Il viaggio terminò nel 48.
Appena dopo il concilio di Gerusalemme del 49, nel quale oltre a questioni squisitamente religiose (in seguito all’esperienza di Paolo e Barnaba e su loro domanda, si decise di non richiedere l’osservanza della Legge mosaica ai convertiti dal paganesimo) furono affrontati argomenti puramente gerarchici sulla ripartizione delle missioni tra la comunità di Gerusalemme, e Paolo di Tarso, dopo essersi separato da Barnaba e associatisi altri compagni, tra cui Timoteo e Sila (o san Silvano) si accinse a partire per il suo II viaggio missionario. Le regioni toccate sono la Galazia del sud, la Macedonia e la Grecia Attraverso l’Asia Minore arrivò in Macedonia e fondò le Chiese di Filippi, Tessalonica e Berea; scese poi ad Atene, dove, davanti all’Areopago, tenne il famoso discorso sul “dio ignoto” e negli anni 51-52 fu a Corinto. Qui dovette da una parte mostrare la superiorità salvifica della “stoltezza della Croce” sulle elucubrazioni umane della filosofia, dall’altra difendersi dalle insidie dei giudaizzanti, e fu costretto a farlo anche dinanzi al proconsole Gallione, fratello del filosofo Seneca. Da Corinto, Paolo inviò le due Lettere ai Tessalonicesi.
Nella primavera di quello stesso anno Paolo ripartì da Antiochia: le regioni toccate nel suo III viaggio furono le attuali Turchia e Grecia, già visitate in precedenza. Attraverso la Galazia e la Frigia giunse a Efeso dove rimase fino alla primavera del 57 e da dove inviò la Prima lettera ai Corinzi e quella ai Galati. Da Efeso dovette fuggire in seguito a una sedizione sollevata dagli argentieri che preparavano gli ex voto per Diana Efesina e che si sentivano danneggiati dalla predicazione di Paolo. Riparato in Macedonia, da dove inviò la Seconda lettera ai Corinzi, nell’inverno del 58 era di nuovo nell’inquieta comunità di Corinto, e da qui inviò la Lettera ai Romani. La durata di quello che possiamo considerare l’ultimo viaggio effettivamente dettato solo dalla volontà personale di san Paolo è quindi di più di 5 anni.
Un suo ritorno a Gerusalemme gli fu fatale, perché Paolo fu riconosciuto da alcuni Ebrei (probabilmente ancora inviperiti per la sua conversione) e fu accusato di aver introdotto un pagano (Trofimo di Efeso) nel recinto del tempio: accusa falsa ma reato grave e punibile con la morte. Dopo un paio d’anni di blanda prigionia a Cesarea, al nuovo governatore Porcio Festo, Paolo disse di volere solo il giudizio dell’Imperatore, suo diritto in quanto cittadino romano, e questi, probabilmente sollevato, acconsentì:
Ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai
(At 25,12)
La sua nave salpò dunque nell’Inverno del 60, e a causa del tempo inclemente fece naufragio a Malta da dove ripartì nel febbraio del 61. Sbarcato a Pozzuoli proseguì via terra e il suo passaggio è accertato anche a Marcianise e Capua (è a questo periodo, come abbiamo visto, che risale la sua tappa casalese, come risulta evidenziato nella cartina). Dopo il suo arrivo a Roma, lì dove «per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani» (At 11,26) fu alloggiato nei pressi del quartiere ebraico, nel luogo in cui dove ora sorge la chiesa di San Paolo alla Regola. Fino al 63 Paolo visse in una casa sotto custodia militare con la possibilità di ricevere amici, predicare e scrivere: a quest’epoca risalgono le Lettere ai Filippesi, ai Colossesi, a Filemone, agli Efesini. Liberato, una tradizione vuole che si sia recato in Spagna; dopo un periodo di soggiorno in Italia (a questo tempo risalirebbe la Lettera agli Ebrei) sarebbe ritornato in Oriente, in Egitto forse, e scrisse la Prima lettera a Timoteo e quella a Tito, anche se in effetti appare inverosimile che quello che era pur sempre un detenuto, sia pure in attesa di giudizio, potesse godere di una siffatta autonomia di spostamento. Comunque poco dopo lo si ritrovò ancora prigioniero a Roma, da dove inviò la Seconda lettera a Timoteo. Questa seconda prigionia romana, ben diversa e più dura della prima, posta solitamente verso la fine del 66, si concluse col martirio (secondo la tradizione egli fu decapitato, onore riservato solo ai cittadini romani) nel 67, sotto l’impero di Nerone che, dopo l’incendio di Roma del 18 luglio dell’anno 64, cercando di allontanare da sé i sospetti per quella catastrofe che aveva semidistrutto la caput mundi, ordinò una feroce persecuzione dei cristiani della città, persecuzione che continuò per molto tempo e, dopo San Pietro, capo della comunità stessa e perciò tradizionalmente considerato il I papa, anche San Paolo ne fu vittima.
Ci piace concludere questo breve excursus sulla vita di S. Paolo patrono di Casale, con le parole di Sua Santità Benedetto XVI che nell’omelia d’apertura dell’Anno Paolino il 28 giugno del 2008 diceva:
Alla fine del suo cammino [Paolo stesso] dirà di sé: “Sono stato fatto… maestro delle genti nella fede e nella verità” (1Tm 2,7; 2Tm 1,11). Maestro delle genti, apostolo e banditore di Gesù Cristo, così egli caratterizza se stesso in uno sguardo retrospettivo al percorso della sua vita … Paolo non è per noi una figura del passato, che ricordiamo con venerazione. Egli è anche il nostro maestro, apostolo e banditore di Gesù Cristo anche per noi. […] La sua fede è l’essere colpito dall’amore di Gesù Cristo, un amore che lo sconvolge fin nell’intimo e lo trasforma. La sua fede non è una teoria, un’opinione su Dio e sul mondo: la sua fede è l’impatto dell’amore di Dio sul suo cuore. E così questa stessa fede è amore per Gesù Cristo. Prendiamo soltanto una delle sue parole-chiave: la libertà. […] Libertà e responsabilità sono qui uniti in modo inscindibile. Poiché sta nella responsabilità dell’amore, egli è libero; poiché è uno che ama, egli vive totalmente nella responsabilità di questo amore e non prende la libertà come pretesto per l’arbitrio e l’egoismo. Nello stesso spirito Agostino ha formulato la frase diventata poi famosa: “Dilige et quod vis fac”, ama e fa’ quello che vuoi. Chi ama Cristo come lo ha amato Paolo, può veramente fare quello che vuole, perché il suo amore è unito alla volontà di Cristo e così alla volontà di Dio; perché la sua volontà è ancorata alla verità e perché la sua volontà non è più semplicemente volontà sua, arbitrio dell’io autonomo, ma è integrata nella libertà di Dio e da essa riceve la strada da percorrere
* Parte di queste sintetiche note biografiche sulla figura di S. Paolo sono ispirate alla conferenza – dibattito tenuta dal compianto prof. Gaetano Ruosi, uno dei più illustri studiosi locali del santo Patrono di Casale di Carinola, nella chiesa parrocchiale SS. Giovanni e Paolo il giorno 25 gennaio 2009. Lo studioso e caro amico è venuto a mancare nell’ottobre di quello stesso anno e noi, grati per il suo lascito intellettuale, ci inchiniamo alla sua memoria.
One thought on “Cappella di San Paolo Apostolo”
Grazie per questo meraviglioso rapporto storico biografico fotto con “amore “ per i casalesi
ed I non casalesi nel Mondo.
Saluti e buona salute
con la benedizione del nostro San Paolo.
Giovanni Aurilio