18 luglio 64 d. C.: il più famigerato incendio che la storia del mondo antico ricordi, devastò Roma per complessivi nove giorni, dopo esser inizialmente divampato tra le tribune lignee del Circo Massimo ed essersi alimentato con il legno dei banchi dei mercati, delle merci destinate alla vendita, ma soprattutto con il poverissimo e dozzinale materiale costituente le abitazioni private romane, disordinatamente ammassate una sull’altra – le insulae erano costituite da calcinacci, malta, legno e potevano essere anche di 8 piani. Molti altri incendi devastarono Roma, addirittura si contavano circa un centinaio di focolai di varia entità ogni giorno, ma quello del 64 semidistrusse la città, tant’è vero che l’imperatore Nerone sentì il bisogno di dotarla di una nuova organizzazione urbanistica.
Nerone era diventato imperatore grazie agli intrighi della madre Agrippina Minore nell’anno 54: era nato ad Anzio nel 37 da Gneo Domizio Enobarbo e, come detto, da Agrippina Minore. Cambiò il nome Lucio Domizio Enobarbo in quello di Nerone Claudio Cesare dopo che sua madre ebbe sposato lo zio Claudio e ottenuto da lui che lo adottasse con l’intento di farne il successore. Insieme con una buona educazione sotto la guida del filosofo Seneca, Agrippina gli spianò la via al potere dandogli in sposa Ottavia, figlia di Claudio e insediando nelle cariche più importanti uomini di sua fiducia. Infine quando Claudio morì (quasi certamente assassinato da lei stessa), ella operò in modo che il figlio venisse eletto imperatore dai pretoriani senza contrasti.
Il primo periodo del suo regno, aveva diciassette anni quando salì al trono, fu illuminato dai consigli di Afranio Burro, il prefetto del pretorio, e Seneca, il già citato precettore, che informarono l’azione di governo a criteri di così oculata moderazione che i primi cinque anni del principato di Nerone furono considerati uno dei periodi più felici dell’Impero: restituì, infatti, parte della pubblica amministrazione al Senato e assicurata la difesa delle frontiere, si provvide ad alleggerire le tasse, a proteggere i provinciali dalle esosità degli esattori e ad esercitare la giustizia con particolare clemenza. Insomma mise gli interessi del popolo in cima alla sua azione di governo. Il benefico influsso dei due consiglieri, che gli lasciavano sfogare tutte le passioni purché si lasciasse guidare nel governo dello Stato, si scontrava però con il risentimento di Agrippina che cercava di riprendere autorità sul figlio e intendeva servirsi di lui come di uno strumento per soddisfare la sua avidità di potere, visto che secondo lei il figlio era distratto anche dall’amore, prima per la liberta Atte, poi per la bella Poppea.
Pensò di liberarsi della madre confinandola dapprima sull’isola di Pandataria (Ventotene), poi eliminandola fisicamente: ma l’uccisione di Agrippina, avvenuta nel 59, costituì l’inizio di un governo dispotico, storicamente valutato come uno dei più vergognosi che Roma abbia avuto. Sentendosi finalmente padrone assoluto del potere, Nerone si concesse innanzitutto il capriccio di sposare Poppea, divorziando da Ottavia che venne in seguito uccisa; riprese i processi di lesa maestà e fece della confisca di patrimoni privati una normale fonte di danaro per l’erario statale; alla morte di Afranio Burro lo sostituì con Ofonio Tigellino, individuo senza scrupoli, così da indurre Seneca a rinunciare al compito di consigliere.
Dopo che la sua passione per l’arte drammatica e per i giochi, unita a un desiderio persino puerile di fama, lo aveva spinto ad esibirsi sui palcoscenici come poeta e musico, a scendere nei circhi quale auriga per inebriarsi di vittorie regalate e di applausi preconfezionati, e a istituire i giochi Iuvenali e Neroniani all’uso greco, il culmine della sua alterigia lo raggiunse con il grande incendio del 64: ma non perché ne fu sicuramente il mandante, anzi forti dubbi se ne hanno in proposito visto che fu perfetto nell’organizzazione dei soccorsi per gli sfollati di cui curò anche il vettovagliamento e il ricovero nelle sue residenze private, ma perché ne trasse il giovamento maggiore, non perse l’occasione, infatti, di requisire una buona parte dell’area urbana distrutta dalle fiamme per dare corso alla sua opera più megalomane, la costruzione sull’Esquilino dell’immensa Domus Aurea la propria mastodontica residenza privata, una reggia dallo splendore inusitato con al centro una colossale statua che lo raffigurava nelle succinte vesti del dio Sole Helios.
Ciò avvalorò il sospetto che l’incendio fosse stato da lui stesso provocato, ma solo perché la coincidenza fu troppo grande e troppo favorevole a colui che era ormai diventato l’uomo più inviso della città. L’accusa probabilmente infondata nei suoi riguardi, fu fatta comunque ricadere sui cristiani, che subirono la prima persecuzione.
La sua crescente crudeltà (nel 65 l’imperatore uccise la moglie Poppea, incinta, con un calcio al ventre), lo spreco del pubblico danaro, le vanitose stravaganze che avvilivano la dignità imperiale, nonché un diffuso senso di paura, gli suscitarono contro una viva opposizione, soprattutto da parte degli alti ufficiali, dei nobili e degli uomini di cultura, che sfociarono in più congiure, fallite, tese ad eliminarlo fisicamente. Dopo un soggiorno durato un paio d’anni in Grecia, la culla dell’arte e delle olimpiadi divenne la sua patria d’elezione, tornò a Roma e si rese conto che era privo ormai anche del sostegno dei pretoriani per il tradimento di Tigellino e di Ninfidio Sabino (nominato prefetto del pretorio accanto al primo) e dichiarato nemico pubblico dal Senato: dopo aver cercato scampo nella fuga, Nerone si nascose nella villa del liberto Faonte dove si uccise con l’aiuto del suo segretario Epafrodito, più volte lamentando che con lui periva un grande artista (si narra che anche in punto di morte pronunciasse la frase «Qualis artifex pereo!»).
Nerone, uno dei più vituperati imperatori romani cui fu attribuita ogni nefandezza, probabilmente a ragione ma a causa di giudizi sicuramente influenzati dallo storico Tacito suo contemporaneo e appartenente a quell’aristocrazia che da lui si sentiva minacciata, subì dai propri successori la cosiddetta damnatio memoriae, cercarono cioè di condannarlo all’oblio perpetuo, ma ironia della sorte nonostante sin dai primi anni dopo la sua morte ci si fosse dedicati alla distruzione di ogni traccia del suo operato, il ricordo della sua persona rimane a scorno di ogni diversa volontà:
– la tomba della sua vittima più famosa, san Pietro, capo di quella nuova setta, i Cristiani, che Nerone perseguitò nel suo Circo Vaticano per sviare da sé i sospetti sul grande incendio, divenne un luogo di culto talmente importante nel corso dei millenni che la chiesa lì costruita dai Papi divenne la Basilica di San Pietro;
– l’Anfiteatro Flavio, i cui lavori iniziarono pochi anni dopo la morte di Nerone e continuarono fino all’80 d. C., e che fu costruito sul lago della Domus Aurea, in virtù di quell’immensa statua cui s’accennava prima dalle dimensioni “colossali”, è conosciuto sin dal Medioevo col nome di Colosseo e non col nome dei costruttori cioè gli imperatori della dinastia Flavia;
– la Domus Aurea divenne il modello per altri monumenti di Roma: la sua sala ottagona, l’ambiente principale della reggia neroniana opera degli architetti Severo e Celere, divenne esempio per la cupola del Pantheon opera di Apollodoro, architetto dell’imperatore Traiano che nemmeno cinquanta anni dopo la sua edificazione ne ordinò l’interramento; sulla falsariga delle tecniche pittoriche presenti nella Domus Aurea vennero realizzati molti dipinti della Basilica di San Pietro (gli artisti si calavano in quel luogo per trarvi ispirazione dando vita a quello stile a grottesche proprio perché visto per la prima volta in quegli ambienti bui, tetri e simili a grotte).
In ogni caso però l’opera più importante che ha lasciato Nerone alla Roma del dopo incendio è la nuova sistemazione urbanistica consistente in strade più larghe, obbligo di costruzione con mattoni e pietra, obbligo di dividere le abitazioni con dello spazio per diminuire le probabilità di propagazione del fuoco. Tutto ciò per evitare possibili profitti da parte di imprenditori senza scrupoli pronti ad arricchirsi alle spalle della povera gente visto che la costruzione era già allora uno dei più grandi affari. E sì, perché uno degli interrogativi che ha generato il grande incendio di Roma è proprio questo: non è che si sia trattato del tentativo di una grandiosa speculazione edilizia?
Novelio Santoro
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One thought on “Il grande incendio di Roma”
stupendo, per un’appassionata è stata una graditissima lettura