10 marzo 1946: il voto è donna!

Il 10 marzo 1946 migliaia di italiani (… ma soprattutto di italiane) si recano alle urne per votare il Sindaco del loro paese, della loro città: si diceva soprattutto perché, contrariamente a quello che si crede, non è il 2 giugno 1946 la prima volta che le donne hanno potuto votare; certo già nelle elezioni per l’effimera Repubblica Romana del gennaio 1849 ci fu l’introduzione del suffragio universale in cui non venne escluso il voto alle donne, ma quello fu un caso particolare (si era nell’ambito di una repubblica risorgimentale che durò pochi mesi e infatti che, tra intimidazioni, minacce di scomuniche papali e arcaiche, patriarcali e molto radicate consuetudini, quel tentativo non ebbe particolare successo, e il suffragio universale non ebbe seguito alcuno per quasi un secolo.

Quindi è proprio il 10 marzo del 1946, nella prima tornata di elezioni amministrative, che le donne poterono votare in massa per la prima volta. Diversi però furono i periodi in cui si votò nei Comuni italiani: a Carinola per esempio sindaco era l’ing. Mattia Manera, Primo Cittadino dal 25.09.1944, e solo il 16.12.1946 fu sostituito dal geom. Giuseppe Santoro, che avrebbe ricoperto quella carica per quasi 10 anni fino al luglio del 1956. Quel 10 marzo le nostre nonne, in un clima di divisione tra i partiti, vivono un’atmosfera gioiosa e solenne, e si recano a fare una cosa che non avevano mai fatto in vita loro e che molte non pensavano neanche di poter fare nella vita, vanno a votare! Decidere il loro destino e il futuro del loro Paese, rivendicare il diritto di esistere: quel 10 marzo 1946 era la conclusione di un lungo percorso, che purtroppo in molte parti del mondo è ancora necessario che continui.

Molte donne si sono battute per la libertà, dalla patriota d’importazione, visto che era brasiliana, Anita Garibaldi a Cristina Trivulzio di Belgioioso, patriota, giornalista e scrittrice; dalla contessa Clara Maffei, il cui salotto milanese fu ritrovo di patrioti e personalità di primo piano nel Risorgimento italiano e della cultura dell’epoca, tanto che da contribuire in modo tangibile all’unificazione nazionale, a Maria Montessori, la pedagogista ed educatrice è stata una delle prime donne italiane laureate in Medicina; da Anna Kuliscioff, medica e giornalista russa naturalizzata italiana, tra i fondatori e principali esponenti del Partito Socialista Italiano, senza dimenticare Matilde Serao, la giornalista, imprenditrice italo-greco-carinolese che è stata una femminista ante litteram, ma non una femminista qualsiasi da cortei e manifestazioni, bensì una che badava ad affermare in concreto la considerazione delle donne. Nel 1866 quando l’Italia era giovanissima, avendo appena 5 anni, dopo la III Guerra d’Indipendenza il Veneto divenne parte integrante della Patria e il re Vittorio Emanuele si recò in visita a Venezia e venne accolto, in piazza San Marco, da una manifestazione di donne che chiedevano il diritto di voto, chiedevano cioè di essere cittadini a pieno titolo del nuovo Stato: il Re non considerava le donne in politica e pensò di ingraziarsele regalando a ognuna di loro un anellino bianco rosso e verde, ma quelle donne non volevano un dono galante, volevano votare, volevano contare, ma non furono prese sul serio.

Eppure un seme era stato gettato!

C’era bisogno di questo movimentismo, infatti fino al 1919 la donna non poteva firmare un contratto, per esempio non poteva comprare un trattore o vendere una casa senza la firma del marito o del padre, non poteva essere autonoma e quindi partecipare a un’impresa: soltanto nel 1919 le donne ottennero la cosiddetta capacità giuridica, e questo perché c’era stata la Grande Guerra e le donne italiane avevano dimostrato di saper fare le stesse cose degli uomini, e magari meglio degli uomini, ci si rese conto insomma che l’Italia probabilmente non avrebbe vinto senza le donne italiane e non si poteva continuare a trattarle da cittadine di serie B. In effetti sempre nel 1919 la Camera dei Deputati aveva approvato il diritto di voto per le donne ma il Senato non fece in tempo a confermarlo per le elezioni e nella Legislatura successiva il progetto non viene più ripreso: poi arriva il pugno di ferro del Fascismo e per vent’anni nessuno vota più, tranne Mussolini!

Il 10 marzo 1946 finalmente le donne possono votare per la prima volta («Senza rossetto però», come consiglia il Corriere della Sera che si raccomandò di non usarlo «perché avrebbe potuto macchiare la scheda e renderla nulla»). In realtà anche stavolta il diritto di voto le donne se l’erano conquistato sul campo: c’era stata la Resistenza e le donne avevano dato un gran contributo alla riconquista della libertà e della democrazia.

Pochi mesi dopo 25 milioni di italiane di italiani sarebbero andati a votare per il Referendum sulla scelta Monarchia/Repubblica e per la Costituente: i nostri nonni e le nostre nonne, votano i preti, le sarte, le bariste, le parrucchiere. Tra di loro anche la regina Maria José: la regina senza scorta va al seggio con la sua auto guidando di persona, dirà «Ho votato Saragat per la Costituente e l’altra scheda l’ho consegnata in bianco al presidente del seggio, non mi pareva chic che una Regina votasse per la monarchia assoluta». Il marito Umberto II votò il giorno dopo, si presentò all’ultimo momento in un seggio di via Lovanio a Roma, non in divisa ma in abiti borghesi: non voleva andare a votare «Non mi sembrava opportuno che un Re votasse per sé stesso», fu Alcide De Gasperi a convincerlo.

Il voto femminile, una delle tante conquiste costate lacrime e sangue e che oggi andrebbe adeguatamente festeggiato, quello sì, perché in un tempo nemmeno tanto lontano scontato non lo era affatto!

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