Il 13 maggio 1981 Giovanni Paolo II fu vittima di un attentato in piazza San Pietro: un giovane turco, Mehmet Ali Agca, gli esplose contro due colpi di pistola ferendolo gravemente all’addome. Papa Giovanni Paolo II è da pochi minuti in Piazza per il tradizionale giro tra i fedeli prima dell’udienza generale del mercoledì. All’improvviso si accascia sulla cosiddetta papamobile, che ancora non era munita di vetri anti-proiettili. Il Pontefice appare subito gravissimo: viene trasportato in ospedale in fin di vita. L’attentatore, inizialmente non si è sicuri che fosse solo, fugge, cade a terra inciampando, lo blocca una suora.
I medici del Policlinico Gemelli non credevano che Wojtyla sarebbe sopravvissuto: «I medici che eseguirono l’intervento, in primis il professor Francesco Crucitti, mi confessarono – racconta il cardinale Stanislaw Dziwisz, lo storico segretario di papa Wojtyla – di averlo preso in carico senza credere nella sopravvivenza del paziente». Il medico personale del Papa, il dottor Renato Buzzonetti chiese a Dziwisz di impartire al Papa l’estrema unzione. L’operazione durò quasi cinque ore e mezza. Il Papa si salvò e, quattro giorni dopo, registrò l’Angelus domenicale per le migliaia e migliaia di persone che comunque si riunirono in piazza San Pietro pur sapendo che nessuno si sarebbe affacciato alla finestra del Palazzo Apostolico.
Si è parlato tanto non solo della pistola inceppatasi dopo 4 colpi esplosi, ma anche di uno dei due proiettili che colpirono papa Wojtyla: quella pallottola seguì un andamento che lasciò stupefatti i medici che presero in cura il Pontefice. Cambiò direzione e raggiunse un fianco dove non avrebbe dovuto passare. Risultato: l’intestino perforato cinque volte ma nessun organo vitale compromesso; la colonna vertebrale che avrebbe potuto finire in pezzi e invece venne appena sfiorata. Esattamente un anno dopo, porterà quel proiettile a Fatima in Portogallo facendolo incastonare nella corona che cinge il capo della Madonna, che era apparsa ai tre pastorelli, Lúcia, Jacinta e Francisco, il 13 maggio del 1917. Secondo lo stesso papa Wojtyla, era stata la Vergine a salvarlo: «Una mano ha sparato, un’altra mano, materna, ha deviato la pallottola», disse.
Perché Ali Agca ha tentato di uccidere il Papa? Chi sono i mandanti? Domande che a quarant’anni dall’attentato a Karol Wojtyla restano senza risposta. Il giovane turco che aveva sparato, fu arrestato subito dopo l’attentato e fu trovata anche la pistola che aveva usato, una Browning. Fin da subito apparve improbabile che i ”Lupi grigi”, l’organizzazione terroristica turca con base in Bulgaria di cui l’uomo faceva parte, avesse potuto da sola organizzare tutto. L’attentatore, nel corso degli anni e dei vari processi, ha dato le sue tante versioni, spesso contraddittorie e inverosimili per confondere il più possibile l’opinione pubblica. Le indagini hanno seguito le piste più diverse ma a 40 anni da quell’attentato non c’è ancora una verità certa.
Il 27 dicembre 1983 papa Giovanni Paolo II, nel carcere romano di Rebibbia, fece visita ad Agca e lo perdonò. «Ho parlato con lui come si parla con un fratello, al quale ho perdonato e che gode della mia fiducia. Quello che ci siamo detti è un segreto tra me e lui», disse il Pontefice. Agca fu poi graziato dallo Stato Italiano, estradato in Turchia dove doveva scontare una precedente condanna poi ritornò in Italia nel 2014 e si recò sulla tomba di Giovanni Paolo II a portargli dei fiori, anche se dei gesti di contrizione pubblica e fatti a favore di telecamere è sempre opportuno diffidare.