«Il vescovo [mons. Vincenzo Cavaselice, ndr] si era rifugiato in Casale di Carinola già alla metà del 1656 e, quando la peste fa la sua comparsa anche in questo villaggio, cerca rifugio in Mondragone, con la scusa di una Visita Pastorale.
Giunto però alle porte di questa, chiuse per la malattia, chiede di entrare, ma gli abitanti gli rifiutano l’ingresso, nonostante le minacce di scomunica. Il vescovo viene respinto e probabilmente torna a Casale, mettendo in atto però la sua minaccia, cioè scomunicando la terra di Mondragone.
Di questo fatto si ha notizia in una serie di lettere inviate alla Santa Sede dal Nunzio Apostolico di Napoli Giulio Spinola. Nelle lettere il Nunzio tenta di convincere il Vescovo a ritirare la scomunica. Il Vescovo di sicuro scampò come abbiamo visto alla peste».
Queste parole sono tratte da Terra di Lavoro nell’anno della peste lavoro pubblicato da Arte Tipografica Napoli nel 2002 a firma di Giampiero Di Marco, medico e storico: un volume che per il lavoro di preparazione che c’è dietro costituisce una vera e propria bussola storica per chi vuole orientarsi tra le centinaia di registri parrocchiali da lui compulsati e accuratamente analizzati in cinque lunghi anni di ricerche, per ricostruire villaggio per villaggio gli avvenimenti legati a quell’anno di tenebre e di morti, relativamente al territorio della provincia di Terra di Lavoro.
Durante la violenta pestilenza del 1656, che fece circa 150 mila morti a Napoli, furono numerosi coloro che dalla città cercarono riparo nell’entroterra. Come non pensare a quanto accaduto nelle scorse settimane, quando i primi focolai di Coronavirus divampati al Nord hanno spinto migliaia di studenti e lavoratori residenti nelle cosiddette “zone rosse” ad abbandonare le loro case per raggiungere le famiglie di origine al Sud?
Nell’anno della peste furono soprattutto i notabili, gli esponenti dei ceti più abbienti, i proprietari di molti fondi rustici a lasciare Napoli per trovare ricovero nei loro possedimenti in Terra di Lavoro, percorrendo a dorso di un mulo quelle poche strade sterrate che lambivano i casali, ben presto trasformate in affollati corridoi verso la salvezza. Ma fino a un certo punto. Poiché la maggior parte dei fuggiaschi riusciva a riparare a malapena in un tugurio di campagna, in un pagliaio, in un misero giaciglio abbandonato persino dalle greggi.
«Molti sono i depredati dei loro averi dalle bande di grassatori che incuranti della peste si aggirano nottetempo per le campagne. Quando non li uccide la peste, sono uccisi dai banditi».
La ormai soppressa diocesi di Carinola, comprendente anche Mondragone, contava circa 4000 anime, una cifra presumibilmente vicina al vero poiché nel 1595 vi erano 3400 abitanti acclarate in documenti storici. Più precisi purtroppo non si può essere perché nel 1818 la popolazione, adirata per l’accorpamento con la diocesi di Sessa Aurunca, incendiò l’Archivio Diocesano mandando in fumo i documenti ivi conservati.