Attentato alla Tana del Lupo 

Nel luglio del ’44, mentre gli angloamericani, dopo esser sbarcati in Normandia, sono in marcia verso Parigi, si stava delineando sempre più chiaramente la disfatta della Germania, ma Hitler non avrebbe mai riconosciuto la propria sconfitta. Era assolutamente necessario quindi, se si voleva giungere a trattare con gli Alleati ed evitare l’inutile perdita di altre migliaia di vite umane, eliminare il Führer e, con lui, il regime che stava portando alla rovina l’intera nazione tedesca. Alcuni ufficiali nazisti cercarono di assassinare Hitler a Rastemburg nella Prussia orientale, oggi presso la città di Kętrzyn al nord della Polonia, in un rifugio in mezzo a foreste di alberi ad alto fusto, diventata famosa col romantico nome di Wolfsschanze, la “Tana del lupo” (foto).

I gruppi isolati di antinazisti esistenti nella Germania hitleriana avevano visto fallire più volte i loro tentativi di provocare la caduta del Führer intavolando trattative segrete con gli alleati. Hitler però sapeva benissimo, come ogni dittatore, di essere continuamente esposto al pericolo di un attentato e in effetti nella sua vita politica ne aveva subito oltre quaranta (il primo addirittura nel marzo del 1932), un pericolo che incombeva non soltanto su di lui ma su tutti gli uomini chiave della gerarchia nazista, come Göring, Goebbels e Himmler, e i sistemi di protezione adottati erano assai complessi.

Hitler progettava i propri spostamenti da un posto all’altro del tutto arbitrariamente e il suo personale, sia civile sia militare, si affrettava a seguirlo nei viaggi improvvisi con lo zelo di un servitore e la passione di un automa. Le date e i particolari di questi spostamenti non erano mai resi noti in anticipo, fatta eccezione per la ristrettissima cerchia degli esecutori dei suoi ordini. Così il percorso del treno corazzato o dell’automobile blindata o dell’aereo personale scortato, non veniva mai comunicato col debito preavviso: ne venivano poi informati soltanto i pochissimi ai quali era indispensabile notificarlo, e anche questi erano avvertiti il più tardi possibile. I numerosi uomini, e le pochissime donne (Hitler era notoriamente misogino), che erano in contatto quotidiano con il Führer erano fidatissimi, ma comunque tutti si dovevano presentare davanti a lui disarmati: Hitler non sopportava la vista di una rivoltella alla cintola di coloro che lo circondavano.

Dal 1940 viveva sempre più isolato, mostrandosi raramente in pubblico, rintanato nei recessi dell’immenso palazzo della Cancelleria a Berlino, o nel cuore dei vari campi militari recintati e sorvegliati in profondità, che costituivano le varie sedi del comando supremo da dove, lontano da qualsiasi fronte, dirigeva e stabiliva il suo cervellotico disegno bellico. Chi, dunque, poteva essere in grado di effettuare un colpo di stato? L’ultima speranza degli antinazisti risiedeva nella Wehrmacht, l’esercito tedesco. Meglio ancora: il suo entourage, qualche suo strettissimo collaboratore.

Claus Schenk von Stauffenberg
Claus Schenk von Stauffenberg

Sebbene i congiurati più in vista fossero oltre una decina e i più noti fossero Wilhelm Canaris, già ammiraglio e a quel tempo capo del servizio segreto militare, l’Abwehr, di 57 anni, e quel feldmaresciallo Erwin Rommel cui, secondo i piani, sarebbe stato affidato il governo che avrebbe trattato la resa con gli alleati, ma il cui reale ruolo non fu mai chiarito, e infatti gli fu in seguito “concesso” di suicidarsi per il suo status di militare più famoso di Germania, il più noto personaggio dell’Operazione “Valchiria”, questo il nome in codice dato al tentativo di rovesciare il regime, tentativo immortalato in diverse pellicole cinematografiche, fu sicuramente il conte Claus Schenk von Stauffenberg, colonnello e capo di stato maggiore dell’esercito, di 37 anni: in effetti fu lui a portare materialmente la bomba ai piedi del Führer.

Nel 1944 la sede più importante del suo comando era situata, come detto, a Rastenburg. Alle ore 6.00 di quel 20 luglio Claus von Stauffemberg, partendo dall’aeroporto di Rangsdorfer, nei pressi di Berlino, si recò in aereo alla Tana del Lupo con una borsa piena di carte, autorizzazioni e scartoffie varie, ma soprattutto una bomba a orologeria. Hitler aveva anticipato il solito orario di riunione perché alle 14.30 sarebbe arrivato Mussolini in visita dall’Italia. Stauffemberg giunse alla Tana del Lupo in auto: vari i livelli di protezione, la parte esterna era costituita da tre barriere fortificate, e anche gli alti ufficiali erano sottoposti a rigorosissime misure di sicurezza.

Alle 12.32 Stauffemberg prima di raggiungere il Führer per la riunione, dopo esser riuscito a rimaner solo con una scusa, azionò il timer dell’ordigno: l’esplosione sarebbe avvenuta dopo 10 minuti. Fu in grado però di armare solo una delle due bombe previste.

Nella baracca adibita a sala  riunioni (a causa del caldo l’incontro si tenne in un edificio in legno anziché nel bunker che avrebbe sicuramente moltiplicato la potenza dell’esplosione), Hitler era in piedi, al centro di un lungo tavolo e ascoltava attentamente l’esposizione di un generale: a quel punto Stauffemberg, dopo aver posizionato la borsa con l’esplosivo nel punto più vicino al Führer, col pretesto di dover fare una telefonata si allontanò dalla sala.

 

Questo modello è basato sulla testimonianza di uno dei sopravvissuti, il generale Warlimont. Hitler (1), attorniato da alti ufficiali, aiutanti,  stenografi e altro personale addetto all’OKW - 24 persone in tutto -, dovette la salvezza soprattutto al massiccio piano dei tavolo su cui era chino quando la bomba scoppiò
Questo modello è basato sulla testimonianza di uno dei sopravvissuti, il generale Warlimont. Hitler (1), attorniato da alti ufficiali, aiutanti, stenografi e altro personale addetto all’OKW – 24 persone in tutto -, dovette la salvezza soprattutto al massiccio piano dei tavolo su cui era chino quando la bomba scoppiò

 

 

A questo punto entra in gioco l’imponderabile, o il “fato”, quello che per gli antichi era l’inoppugnabile parola degli dei, oppure quello che chiamiamo “destino”, ciò che presiede ad ogni cosa e cui anche noi attribuiamo quasi sempre un’accezione soprannaturale, o più semplicemente… IL CASO!

Il colonnello Brandt urtò con un piede la borsa e nel rimetterla a posto, la posizionò dietro il massiccio supporto di sostegno del tavolo. Alle 12.42 ci fu, come previsto, la deflagrazione che causò quattro morti e dodici feriti più o meno gravi, ma tra questi NON C’ERA HITLER che se la cavò solo con qualche escoriazione al braccio: a salvarlo fu il pesante sostegno del tavolo!

 

Un quasi-orgoglioso Hitler mostra a Mussolini gli effetti dell’attentato cui è riuscito a scampare
Un quasi-orgoglioso Hitler mostra a Mussolini gli effetti dell’attentato cui è riuscito a scampare

 

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