Ebola, quello che (forse) non sapete

Se ne parla sui giornali, in tv, alla radio, e la gente corre ai ripari soltanto sentendo il nome. Ma pensandoci su, quanto ne sappiamo veramente di questa malattia che si sta diffondendo a macchia d’olio in gran parte dei paesi africani? Ben poco.

La prima volta che abbiamo udito la parola di questa malattia è stato con l’allarme epidemia in Sierra Leone nel 2014. In realtà il primo caso di epidemia da “ebolavirus” (Zaire ebolavirus) è accaduto in Zaire e in Sudan nel 1976. I sintomi della prima epidemia corrispondono a quella attuale: febbre emorragica, cefalea, perdita generale di fluidi con conseguenze come shock ipovolemico, necrosi sistemica disseminata e sindrome da disfunzione da multiorgano. Fa paura sentire tutti questi sintomi, anche perché il tasso di letalità è elevato, ma tutte le statistiche e i dati raccolti fanno riferimento a paesi sottosviluppati in campo medico e farmaceutico, e che purtroppo attualmente faticano a trovare una soluzione, malgrado il supporto dato dalle associazioni umanitarie (Emergency e Medici senza frontiere). La contagiosità di questa malattia in quei paesi è elevata a causa dello stretto contatto che la popolazione locale ha con i malati infetti (da considerare che i riti locali vogliono che il processo di seppellimento di coloro venuti a mancare duri molti giorni, quindi il rischio di contagio sale).

Da come sembra e da come annunciano le maggiori fonti d’informazione, l’ebola può essere un male senza fine, ma il settore della ricerca scientifica e  medica ha qualcosa da ridire al riguardo. Innanzitutto trattare i sintomi dell’ebola è molto semplice: si ricorre alla somministrazione di liquidi ed elettroliti, al mantenimento del flusso sanguigno e del livello di ossigenazione. Poi bisogna ricordarsi che in Italia è già in fase di sviluppo il primo vaccino anti-ebola, elaborato al Ceinge (Centro di ingegneria genetica) di Napoli da parte del biologo molecolare Riccardo Cortese. E’ da aggiungere anche che l’Italia ha il più preparato istituto di ricerca di malattie infettive, l’ospedale “Lazzaro Spallanzani”, e anche un reparto d’emergenza infettiva molto competente rappresentato dall’Aeronautica militare (capitanata rispettivamente dal col. Ferdinando Arganese, e dal ten.col. Marco Lastilla) con il prototipo di “barella di biocontenimento”, che permette al personale sanitario di poter intervenire liberamente sul paziente senza rischio di contagio (è stato testato con i due casi italiani di ebola guariti).

Con questo articolo non si vuole dare poca importanza a problematiche serie, ma piuttosto illuminare la curiosità nel lettore con l’invito a non rifugiarsi in allarmismi troppo affrettati.

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Fava Pasquale

 

 

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